Forum ESECUZIONI - INTERFERENZE TRA ESECUZIONE E FALLIMENTO

Esecuzione immobiliare e fallimento

  • Umberto Di Pede

    MATERA
    15/12/2017 10:41

    Esecuzione immobiliare e fallimento

    Sono curatore di un fallimento.
    Al momento della dichiarazione di fallimento pendevano delle procedure pignoratizie individuali derivanti da crediti fondiari.
    Queste procedure hanno portato alla vendita degli immobili pignorati e all' incamerazione del prezzo senza che io mi sia insinuato nella relativa procedura.
    Poiché le somme ricavate spettano comunque al fallimento e siccome non vi stato ancora alcun riparto ed assegnazione, vi chiedo come posso fare ad incamerare tali somme e farle confluire nelle casse del fallimento posto che esse sono necessarie al pagamento di numerosi crediti in prededuzione.
    Inoltre si chiede qual è la procedura? Serve una autorizzazione (del G.D. o del G.E.) o è sufficiente una semplice richiesta al delegato alle vendite?
    • Zucchetti SG

      Vicenza
      15/12/2017 19:31

      RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

      Per la verità non è corretta la premessa da cui muove che le somme ricavate spettano comunque al fallimento. In realtà il privilegio processuale concesso ai creditori fondiari si realizza proprio nella possibilità di iniziare o proseguire l0'esecuzione individuale anche in pendenza del fallimento del debitore e tale vantaggio non avrebbe senso se non portasse all'acquisizione, da parte del creditore fondiario, delle somme ricavate dall'esecuzione.
      Il raccordo tra l'esecuzione fondiaria e quella fallimentare avviene in due modi. In primo luogo consentendo al curatore di intervenire nel procedimento esecutivo per far valere i crediti prioritari sull'ipoteca che assiste il credito fondiario e, in secondo luogo nel considerare provvisoria l'assegnazione fatta al creditore fondiario in sede esecutiva. Questo comporta che tale creditore deve comunque insinuarsi al passivo fallimentare ove viene determinato il credito intero per il quale quel creditore (come se nulla avesse già percepito) avrebbe diritto a partecipare al concorso fallimentare (ammettiamo 100 per semplificare); successivamente si calcolano quali sono i crediti che hanno prevalenza sull'ipoteca, tra i quali le spese della procedura fallimentare in prededuzione (ad esempio 20 tra spese specifiche e generali in proporzione, che è l'importo cui anche il fondiario deve contribuire alla spese della procedura). A questo punto se le liquidità ricavate dalla vendita del bene ipotecato hanno permesso il pagamento del fondiario e delle prededuzioni fallimentari, nulla quaestio, nel mentre se esse sono state inferiori, il fondiario dovrà comunque partecipare alle spese restituendo quella somma di 20 che avrebbe dovuto sostenere e non ha sopportato, non essendo intervenuto il curatore nell'esecuzione e comunque non potrà percepire in via ipotecaria più di 80.
      Zucchetti Sg srl .
      • Umberto Di Pede

        MATERA
        16/12/2017 11:13

        RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

        Poiché, come dite, il raccordo tra l'esecuzione fondiaria e quella fallimentare avviene o consentendo al curatore di intervenire nel procedimento esecutivo per far valere i crediti prioritari sull'ipoteca o considerando provvisoria l'assegnazione fatta al creditore fondiario in sede esecutiva, posso ancora intervenire dato che non sono state assegnate le somme? Come?
        Inoltre, se effettuo l'intervento devo indicare che esso è relativo solo alle spese prededucibili della procedura e quantificarle allo stato?
        Infine, in caso di mancato intervento come devo agire per ottenere la restituzione delle somme prededucibili (20) che il creditore fondiario avrebbe dovuto sostenere ma che non ha sostenuto?
        E che succede se il creditore fondiario si rifiuta di restituirle?

        Mi permetto, poi, di contraddire la vs. ricostruzione secondo cui le somme non spetterebbero, in ogni caso, al fallimento perché la norma che consente ai creditori fondiari di iniziare o proseguire un'esecuzione individuale anche in pendenza di fallimento ha natura processuale, quindi procedurale e – di conseguenza – non può mai prevalere rispetto alla norma SOSTANZIALE della PAR CONDICIO CREDITORUM ed all'altra (derivata ma sempre sostanziale) del blocco di ogni azione individuale.
        Infatti, sebbene il creditore fondiario sia il primo a potersi soddisfare sul ricavato della vendita del bene ipotecato può non essere l'unico a farlo, perché il ricavato potrebbe superare di molto il suo credito.
        A questo punto, si potrebbe verificare la situazione che il creditore fondiario trattenga somme che non gli spettano (interessi) o che altre somme vengano erroneamente distribuite ad altri creditori intervenuti che (pur in pendenza del fallimento) sono saliti sul carro dell'esecuzione individuale e non hanno desistito come avrebbero dovuto.
        Dott.Umberto Di Pede Matera
        • Zucchetti SG

          Vicenza
          18/12/2017 11:52

          RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

          Il secondo comma dell'art. 41 del d.lgs n. 385 del 1993 (TUB) stabilisce quanto segue: "L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha facoltà di intervenire nell'esecuzione. La somma ricavata dall'esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento".
          Da questa norma si deduce: (a)-che il creditore fondiario può iniziare e/o proseguire l'azione esecutiva anche in pendenza di fallimento del debitore; (b)-che il curatore può intervenire nell'esecuzione pendente; (c)-che il ricavato della vendita va attribuito al creditore fondiario e al curatore va assegnata soltanto la parte eccedente la quota assegnata alla banca procedente; principio quest'ultimo ulteriormente rafforzato dal comma terzo della stessa norma, per il quale "il custode dei beni pignorati, l'amministratore giudiziario e il curatore del fallimento del debitore versano alla banca le rendite degli immobili ipotecati a suo favore, dedotte le spese di amministrazione e i tributi, sino al soddisfacimento del credito vantato". ossia, non solo il prezzo del ricavato va assegnato al creditore fondiario, ma il curatore, se ad esempio l'immobile è dato in locazione, è tenuto a versare alla banca fondiaria i canoni che il conduttore paga a lui.
          Del resto, se così non fosse, il privilegio processuale concesso ai creditori fondiari non avrebbe senso, in quanto esso si concretizzerebbe nello svolgimento di una esecuzione individuale per far acquisire al fallimento le somme che questo potrebbe realizzare con la vendita in ambito fallimentare. Al contrario, la possibilità data al creditore fondiario di iniziare e proseguire l'espropriazione individuale si realizza-, come abbiamo già detto nella precedente risposta- nel portare all'acquisizione, da parte del creditore fondiario, delle somme ricavate dall'esecuzione. Il privilegio in questione, consistente nella deroga al divieto di cui all'art. 51, si chiama processuale in quanto consente solo questa possibilità ed una attribuzione provvisoria, nel mentre il privilegio sostanziale (quelli per intenderci dei dipendenti, dei professionisti, ecc.) si realizza nell'attribuire al creditore una situazione di preferenza rispetto ad altri; al creditore fondiario, la preferenza è data non da un privilegio ma dall'ipoteca e dal grado della stessa.
          Poiché l'attribuzione in sede esecutiva è provvisoria, bisognava provvedere a raccordare detta esecuzione individuale con quella collettiva concorsuale. Raccordo che come abbiamo detto, può avvenire in sede esecutiva individuale con l'intervento del curatore previsto dal secondo comma dell'art. 41 del TUB e nel fallimento, posto che il terzo comma dell'art. 52 l.f., stabilisce che le disposizioni riguardanti l'accertamento dei crediti nel fallimento di cui al secondo comma dello stesso articolo "si applicano anche ai crediti esentati dal divieto di cui all'art. 51", ossia anche ai crediti fondiari che, appunto non sottostanno al blocco delle azioni esecutive.
          Perché il legislatore ha creato questo meccanismo? Proprio perché la banca fondiaria che procede all'esecuzione individuale ha ottenuto in quella sede l'attribuzione del ricavato senza tener conto di tutti i crediti prioritari sull'ipoteca che invece vi sono nel fallimento, tra cui la quota di spese generali (compreso il compenso del curatore) ed eventuali crediti concorsuali che vanno preferiti all'ipoteca a norma del secondo comma dell'art. 2748 c.c.. Questi crediti può azionarli il curatore intervenendo nel processo esecutivo, ma, come evidenzia la lettera del citato secondo comma dell'art. 41 TUB, l'intervento non è obbligatorio e, comunque, nel momento in cui è fatto potrebbe non comprendere tuti i crediti prioritari sull'ipoteca, ed ecco perché l'art. 52 (riprendendo peraltro un indirizzo consolidato della S. Corte), ha stabilito che i conteggi definitivi si fanno in sede fallimentare; qui, infatti, si può definitivamente stabilire quanto il creditore fondiario riceverebbe nel fallimento e quanto ha ricevuto in via esecutiva e si determina il dare e avere (semplificando quanto detto più dettagliatamente nella precedente risposta).
          Se il fallimento è in credito chiederà alla banca la restituzione di quanto provvisoriamente incassato in più del dovuto, e se la banca non adempie, si ha la normale situazione di un creditore e di un debitore che non vuol pagare, per cui, dopo i dovuti solleciti, si dovrà passare alle vie giudiziarie.
          E' chiaro, quindi, che il pagamento del credito del fondiario in sede esecutiva altera la par condicio, ma questa deroga è voluta dal legislatore (e la ragione si trova nell'orine storica del credito in questione legato alle cartelle fondiarie), che, però, ne mitiga gli effetti, attraverso il successivo riequilibrio in sede fallimentare.
          E' il caso di spiegare intervento nell'esecuzione individuale? Dipende dalla situazione concreta, ossia dalla fase in cui è pervenuta l'esecuzione, dall'entità del ricavo e dal grado di possibile soddisfazione del fondiario, dall'entità delle spese prededucibili gravanti sul bene ipotecato e dei crediti prioritari, dalla banca con cui si ha a che fare, ecc.. Certo è meglio ottenere prima, nell'esecuzione, quello che poi potrebbe essere chiesto in restituzione, ma questo è solo un criterio di valutazione da confrontare anche con la spesa di un legale per effettuare l'intervento.
          Zucchetti Sg srl
          • Alfredo Tradati

            MILANO
            22/01/2018 10:42

            RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

            Sono curatore di un fallimento.
            Al momento della dichiarazione di fallimento pendeva una procedura pignoratizia individuale promossa da un creditore fondiario. L'udienza ai sensi dell'art. 569 c.p.c è fissata per il mese di maggio. Io potrei ottenere l'autorizzazione alla vendita dell'immobile in questione nel mese di febbraio avendo già un perizia in mano effettuata dal perito della procedura: questo mi permetterebbe "potenzialmente" di liquidare prima l'attivo.In questa situazione il rapporto esecuzione e fallimento si risolve in ragione dell'anteriorità del provvedimento che dispone la vendita? in una vostra risposta a un quesito del 9/5/2013 ho inteso in tal senso.
            Grazie e saluti
            • Zucchetti SG

              Vicenza
              22/01/2018 17:20

              RE: RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

              Il potere degli istituti di credito fondiario di proseguire l'esecuzione individuale sui beni ipotecati anche dopo la dichiarazione di fallimento del mutuatario, non esclude che il giudice delegato possa disporre la vendita coattiva degli stessi beni, perché le due procedure espropriative non sono incompatibili ed il loro concorso va risolto in base all'anteriorità del provvedimento che dispone la vendita (in tal senso Cass. 08/09/2011, n. 18436; Cass. 28/01/1993 n. 1025).
              Zucchetti Sg Srl
      • Federico Caracciolo

        BOLOGNA
        23/04/2019 11:18

        RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

        Buongiorno,
        chiedo cortesemente un vostro parere in merito alla seguente situazione sperando di essere il più chiaro possibile.
        Al momento della sentenza dichiarativa di fallimento è pendente un'esecuzione immobiliare che vede come creditore procedente un istituto di credito. Lo stesso creditore si insinua allo stato stato passivo del fallimento ma in tale sede gli viene disconosciuta la natura fondiaria del credito.
        Successivamente il Curatore interviene nell'esecuzione immobiliare.
        A questo punto le somme incamerate in sede di esecuzione immobiliare a chi andranno ripartite? Ritengo che le spese sostenute dal creditore procedente (anticipo compenso C.T.U, anticipo compenso Custode, ecc.) siano da distribuire direttamente al creditore procedente mentre la somma residua sarà da attribuire direttamente al fallimento diversamente a quanto sarebbe avvenuto in presenza di creditore fondiario.
        Grazie
        • Zucchetti SG

          24/04/2019 08:54

          RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

          A nostro avviso la soluzione prospettata non è condivisibile anche se risulta adottata in diversi tribunali.
          Per spiegare le ragioni del nostro convincimento ci sembra utile partire da quanto affermato da Cass., sez. III, 28 settembre 2018, n. 23482, la quale è stata chiamata ad occuparsi di una procedura esecutiva per credito fondiario, proseguita dunque nonostante il fallimento del debitore, in cui il curatore aveva chiesto, invano, che in sede di distribuzione del ricavato, nel determinare la somma da attribuire al creditore fondiario, fossero scorporate, con versamento in favore della curatela, di crediti prededucibili riconosciuti in sede fallimentare (si trattava del credito per ICI e degli oneri condominiali relativi all'immobile, nonché del compenso spettante alla curatela fallimentare).
          La richiesta era stata rigettata sia dal giudice dell'esecuzione che dal tribunale all'esito della celebrazione del giudizio di merito, essenzialmente in ragione del fatto che ai sensi dell'art. 41, comma 4, TUB il creditore fondiario ha diritto a ricevere tutto il ricavato dalla vendita, per la porzione corrispondente al suo credito complessivo, e che la prededuzione riconosciuta in ambito concorsuale non gode di alcun privilegio in sede di esecuzione individuale.
          Orbene, nel decidere il ricorso proposto dalla curatela, la Corte ha affermato che nell'ambito di un'azione esecutiva iniziata o proseguita dal creditore fondiario, ai sensi dell'art. 41 del d.lgs. n. 385/1993, nei confronti del debitore fallito, il curatore che intenda ottenere la graduazione di crediti di massa maturati in sede fallimentare a preferenza di quello fondiario, e quindi l'attribuzione delle relative somme con decurtazione dell'importo attribuito all'istituto procedente, dovrà costituirsi nel processo esecutivo e documentare l'avvenuta emissione da parte degli organi della procedura fallimentare di formali provvedimenti (idonei a divenire stabili ai sensi dell'art. 26 l.fall., oggi art. 124 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) che (direttamente o quanto meno indirettamente, ma inequivocabilmente) dispongano la suddetta graduazione.
          Afferma a questo proposito la suddetta pronuncia che il giudice dell'esecuzione deve "limitarsi a verificare se esistano provvedimenti degli organi della procedura fallimentare che abbiano - direttamente o indirettamente - operato l'accertamento, la quantificazione e la graduazione del credito posto in esecuzione (nonché di quelli eventualmente maturati in prededuzione nell'ambito della procedura fallimentare, purché già accertati, liquidati e graduati dagli organi competenti con prevalenza su di esso) e conformare ai suddetti provvedimenti la distribuzione provvisoria in favore del creditore fondiario delle somme ricavate dalla vendita, senza in alcun caso sovrapporre le sue valutazioni a quelle degli organi fallimentari, cui spettano i relativi poteri".
          A queste affermazioni la pronuncia aggiunge a chiare lettere quella per cui la liquidazione delle spese sorte all'interno della procedura esecutiva individuale compete "in via esclusiva" al giudice dell'esecuzione "quale giudice davanti al quale si è svolto il suddetto processo esecutivo individuale".
          Ciò detto, la Corte non affronta (non essendo stata chiamata a farlo) l'ulteriore questione relativa alla possibilità che gli importi liquidati a favore degli organi della procedura esecutiva individuale possano essere trattenuti – si direbbe "in prededuzione" – dal ricavato (cosicché l'assegnazione al fondiario avverrà al netto di tali somme) o meno, ma le premesse sulla scorta delle quali i giudici di legittimità hanno deciso il caso loro sottoposto sembrano imporre la soluzione negativa.
          Invero, se la graduazione e la distribuzione non può che avvenire in sede fallimentare, unico luogo in cui trova composizione il concorso dei creditori nella distribuzione del ricavato, e la collocazione delle prededuzioni, è giocoforza affermare che questa regola deve valere anche per le spese maturate in sede di esecuzione individuale, poiché diversamente opinando alcune spese verrebbero pagate al di fuori delle relative regole.
          A questo punto, mentre secondo alcuni detti ausiliari dovrebbero, come tutti gli altri creditori della massa, partecipare al concorso (con la conseguenza che il decreto di liquidazione dovrebbe porre il relativo importo a carico del debitore), la giurisprudenza afferma che il giudice liquida i compensi e le spese degli ausiliari che eventualmente abbiano già prestato la loro opera nella procedura e li pone a carico del creditore procedente a titolo di anticipazione ai sensi dell'art. 8 D.P.R. 115/2002 (quali spese che restano a carico di colui che le ha anticipate come in tutti i casi di chiusura anticipata del processo), così da consentire a quest'ultimo di chiederne a propria volta il pagamento nel fallimento mediante domanda di ammissione al passivo (così . Cass. Civ., sez. I, 18 dicembre 2015, n. 25585, che ha precisato come l'art. 95 c.p.c. non sia applicabile all'ipotesi in cui l'esecuzione si arresti per improcedibilità ex art. 51 L.F., presupponendo un esito fruttuoso della procedura, ed ha respinto l'istanza di ammissione al passivo formulata da un professionista delegato alle operazioni di vendita).
          Nel caso prospettato, invece, occorre considerare che il curatore ha deciso di proseguire la procedura esecutiva sebbene ricorressero i presupposti per dichiararne l'improseguibilità ai sensi dell'art. 51 l.fall.
          In questo caso riteniamo che il decreto di liquidazione debba essere emesso in favore dell'ausiliario ed a carico della curatela, e sulla scorta di questo decreto l'ausiliario potrà chiedere al giudice delegato il pagamento di quanto dovutogli, a meno che non vi sia un provvedimento di quest'ultimo che lo autorizzi in sede di esecuzione mediante prelievo dal ricavato dalla vendita.
      • Sabrina Condemi

        Reggio Calabria (RC)
        03/02/2020 12:33

        RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

        Sono curatore di una SRL fallita nel 2019 che non ha mai tenuto una regolare contabilità ne avuto una gestione organizzata negli ultimi 10 anni per cui non è stato consegnato alcun documento utile ad una ricostruzione attendibile. A seguito di una prima fase di indagine, ho scoperto l'esistenza di una procedura esecutiva contro la srl fallita risalente al 2001 e gravante su un immobile della stessa società, pignorato dall'INPS - creditore procedente chirografario. Tale procedura è ancora oggi pendente ed è giunta alla fase di attribuzione delle somme (ancora non eseguita) secondo lo schema del piano di riparto ratificato dal G.E..
        Il Fallimento è invece giunto alla fase successiva alla verifica dello stato passivo delle domande tardive e, ad oggi, solo due creditori si sono insinuati, tra cui il creditore procedente chirografario.
        Vi chiedo se in questa circostanza il curatore dovrebbe chiedere l'improseguibilità ex art. 51 l.f., e in tal caso come agire nei confronti del ricavato o dovrebbe intervenire nella procedura esecutiva.

        • Zucchetti SG

          Vicenza
          03/02/2020 19:07

          RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

          Trattandosi di una esecuzione ordinaria, non fondiaria, trovano applicazione l'art. 51 l. fall. che pone il divieto delle azioni esecutive e l'art. 107 l. fall. il cui comma sesto stabilisce che "Se alla data di dichiarazione di fallimento sono pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi; in tale caso si applicano le disposizione del codice di procedura civile; altrimenti su istanza del curatore il giudice dell'esecuzione dichiara l'improcedibilità dell'esecuzione, salvi i casi di deroga di cui all'art. 51".
          Essendo la procedura esecutiva individuale arrivata alla fine, mancando solo la distribuzione della somma ricavata dalla vendita del bene pignorato, la cosa migliore per il fallimento è subentrare in detta procedura a norma del citato art. 107 e farsi assegnare la somma in questione.
          Zucchetti SG srl
          • Juri Scardigli

            Livorno
            16/11/2022 18:03

            RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

            Buonasera, nel mio caso i soci della Snc fallita hanno subito 2 esecuzioni immobiliari, una da un creditore fondiario ed una da un creditore non fondiario.
            Per quanto riguarda quella del creditore fondiario è già stato emesso dal Giudice delle Esecuzioni il decreto di trasferimento e sono già state distribuite le somme.
            Per quella del creditore non fondiario è già stato redatto il decreto di trasferimento dal notaio ma non è stato ancora depositato nel fascicolo telematico dell'esecuzione.
            L'esecuzione con creditore fondiario è stata poi riunita all'esecuzione con creditore non fondiario.
            Ho presentato istanza al GD per richiedere l'intevento nell'esecuzione, che mi è stato concesso dallo stesso GD.
            Ho nominato il legale, che mi ha invitato a proporre istanza per la liquidazione del compenso, che a mio parere deve essere parametrato all'attivo realizzato dalle 2 esecuzioni e al passivo delle stesse.
            Dato che al passivo del fallimento, non ancora reso esecutivo dal GD (ci sarà udienza il 30/11), si è insinuato solo il creditore non fondiario, come calcolo il parametro delle passività per la determinazione del mio compenso?
            Essendo poi intervenuto nelle esecuzioni, come devo procedere operativamente a questo punto?
            • Zucchetti SG

              Vicenza
              16/11/2022 20:19

              RE: RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

              Nell'esecuzione fondiaria se, come lei dice, sono state già distribuite le somme, non capiamo la ragione dell'intervento. Lo scopo dell'intervento nell'esecuzione fondiaria è quello di far valere in quella sede i crediti prioritari sull'ipoteca, tra cui le prededuzioni, nelle quali rientra il compenso del curatore; da qui la richiesta di farsi liquidare un acconto dal tribunale, ma se le somme ricavate dalla vendita sono state già assegnate al creditore fondiario, l'intervento allo scopo detto non ha più ragione di essere effettuato, e avrà il solo scopo di eventualmente farsi assegnare lil surplus che rimane , dopo la soddisfazione del creditore fondiario (osa che peraltro è possibile anche senza l'intervento).
              Nell'esecuzione non fondiaria non è richiesto un intervento, ma il curatore deve scegliere se subentrare ex art. 107 l. fall. nella posizione del creditore procedente, che non può proseguire l'esecuzione per il divieto di cui all'art. 51 l. fall., oppure trasferire il tutto in sede fallimentare; ovviamente nella fattispecie essendo stata intervenuta la vendita il curatore non può che sostituirsi al creditore in modo da farsi attribuire il prezzo ricavato dalla vendita.
              Nel dubbio su cosa sia effettivamente accaduto, per venire alla sua domanda, come dicevamo lei può chiedere la liquidazione di un acconto, e non la liquidazione definitiva del compenso, che interverrà alla fine della procedura, per cui non è necessario calcolare il compenso in modo preciso, come invece per quello finale. Ad ogni modo quanto all'attivo, la Cassazione negli ultimi anni ha ritenuto che il ricavato dalla vendita dei beni in sede fondiaria non entra nell'attivo realizzato su cui calcolare il compenso, a meno che l'intervento del curatore non abbia avuto una qualche ut8ilità, cosa che evidentemente è da escludere nel caso in cui l'esecuzione era già completata prima dell'intervento del curatore. Quanto al passivo, il compenso finale va calcolato sul passivo accertato e il creditore fondiario ha l'onere di insinuarsi al passivo e primo o poi lo farà, altrimenti dovrà restituire tutto quanto percepito dall'esecuzione fondiaria; trattandosi di acconto il passivo da tenere presente è quello al momento accertato.
              Zucchetti SG srl
              • Juri Scardigli

                Livorno
                17/11/2022 17:41

                RE: RE: RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

                Forse mi sono espresso male.
                Nella mia istanza ho richiesto di subentrare nella procedura promossa dal creditore non fondiario, a norma dell'art. 107 l.f. e farsi assegnare il ricavato della vendita.
                A questo punto devo proporre istanza di liquidazione di un acconto sul mio compenso.
                Ma non ho ben capito su quali parametri devo calcolare questo acconto.
                Quale attivo devo considerare, solo quello della vendita del creditore non fondiario?
                Quale passivo devo considerare, quello della/e esecuzione/i o quello del fallimento?
                Concludo ribadendo che il creditore non fondiario si è insinuato al passivo del fallimento, quello fondiario no.
                • Zucchetti SG

                  Vicenza
                  18/11/2022 19:10

                  RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

                  Se lei è subentrato nella esecuzione ordinaria a norma dell'art. 107, come era logico facesse, non vediamo perché il legale le abbia chiesto di proporre istanza per la liquidazione del compenso in quanto, essendo lei subentrato al creditore procedente, il ricavato, detratte le spese dell'esecuzione, viene assegnato al fallimento e nell'ambito di questo poi chiederà la liquidazione del compenso che, peraltro, va liquidato alla fine della procedura, dopo l'approvazione del conto gestione e prima del riparto finale (art. 39, co. 2 l. fall.). Come dicevamo nella precedente risposta, al momento lei può chiedere un acconto sul compenso se ha presentato un progetto di riparto parziale; se fosse intervenuto nell'esecuzione fondiaria l'acconto avrebbe potuto essere giustificato dall'utilità di far valere in quella sede le spese prededucibili prevalenti sull'ipoteca, ma nel caso in esame, trova piena applicazione il terzo comma dell'art. 39, per il quale "Salvo che non ricorrano giustificati motivi, ogni acconto liquidato dal tribunale deve essere preceduto dalla presentazione di un progetto di ripartizione parziale".
                  Quanto alle sue domande finali, ci sembrava di aver già risposto con il precedente intervento ricordando che il ricavato del bene oggetto dell'esecuzione fondiaria difficilmente potrebbe essere considerato attivo realizzato su cui calcolare l'attivo, dato che il curatore era rimasto sostanzialmente estraneo alla sua liquidazione, e che, quando si liquida un acconto, si tiene conto del passivo accertato fino a quel momento, sempre che sia dichiarato esecutivo lo stato passivo, essendo inverosimile la liquidazione di acconti prima di tale momento. Qualora dovesse capitare (ad esempio per l'intervento nella esecuzione fondiaria9 si terrà conto del passivo fino a quel momento accertato.
                  Zucchetti SG srl
      • Vincenzo Grimaldi

        Salerno
        13/09/2020 13:04

        RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

        Intervengo nella discussione esponendo il mio caso:
        Sentenza di fallimento depositata in data 30.07.2020 (procedura esecutiva in essere con creditore fondiario).
        Decreto di trasferimento immobili del 12.05.2020 trascritto in data 29.07.2020.
        Attribuzione dell'80% dell'importo al creditore fondiario ex art. 41 TUB in data 15.11.2019.
        1) Ho provveduto a richiedere al delegato alla vendita l'attribuzione al fallimento delle somme giacenti sul conto corrente della procedura esecutiva e non ancora distribuite;
        2) Devo provvedere a fare l'intervento (con assistenza del legale) nella procedura esecutiva?
        3) Posso richiedere la restituzione delle somme già distribuite al creditore fondiario?
        4) Che dite della sentenza Cass. Civ. Sez.I del 29 marzo 2019 n. 8979?
        Ringrazio per la collaborazione.
        • Zucchetti SG

          Vicenza
          14/09/2020 19:10

          RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

          E' da supporre che nel caso di specie il giudice dell'esecuzione abbia assegnato al creditore fondiario 80% del ricavato, in attesa di determinare le spese della procedura. Tale attribuzione è intervenuta prima della dichiarazione di fallimento del debiore e questo spiega la sua domanda finale su come interpretiamo la sentenza n. 8979/2019 della Cassazione, che, per quanto qui interessa, ribadisce il principio (pacifico in giurisprudenza) secondo il quale in caso di soddisfacimento delle ragioni dei creditori attraverso procedure esecutive individuali (e ciò anche mediante espropriazione presso terzi), gli atti soggetti a revocatoria L. Fall., ex art. 67, in quanto compiuti nel periodo cd. sospetto anteriore alla dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, non sono i provvedimenti del giudice dell'esecuzione, ma i soli, successivi (e distinti) atti di pagamento coattivo in tal modo conseguiti, per cui, ai fini del computo del cosiddetto "periodo sospetto", occorre far riferimento, al pari del pagamento spontaneo, alla data in cui il soddisfacimento sia stato concretamente ottenuto con la ricezione, da parte del creditore, della somma ricavata dall'esecuzione.
          Questo principio, come detto è pacifico e pienamente condivisibile, ma non rilevante nella fattispecie per due motivi: in primo luogo, infatti, il comma quarto dell'art. 67 stabilisce che "Le disposizioni di questo articolo non si applicano all'istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario", che esonera dalla revocatoria tutte le operazioni di credito fondiario, con una dizione ancor più ampia di quella contenuta nell'art. 39, co. 4, TUB che esclude dalla revocatoria i soli pagamenti effettuati dal debitore di crediti fondiari. Inoltre, quannd'anche detto pagamento fosse revocabile astrattamente, rimane il fatto che, come lei dice, è stato effettuato il 15.11.2019 e il fallimento è stato dichiarato il 30.7.2020, ossia oltre i sei mesi previsti come periodo sospetto dal secondo comma dell'art. 67 l. fall.
          Esclusa la revocabilità del pagamento ricevuto dal creditore fondiario, lo stesso non può in altro modo essere intaccato, in quanto essendo intervenuto prima del fallimento, le considerazioni svolte nei post che precedono non sono applicabili alla fattispecie. In sostanza il pagamento effettuato non ha carattere provvisorio, come quello che avviene in pendenza di fallimento, ma definitivo e il creditore fondiario può insinuarsi al fallimento per ottenere la differenza tra il suo credito e quanto già ricevuto, come un normale creditore che abbia ricevuto un acconto.
          A sua volta il delegato alla vendita, calcolate le spese della procedura e liquidate le stesse, attribuirà l'eventuale residuo al fallimento, senza bisogno di intervento, a meno che il creditore fondiario non ne chieda l'assegnazione; in tal caso, infatti, egli continuerebbe la procedura esecutiva- al momento non ancora chiusa in quanto rimane ancora una somma da ripartire (il 20% del ricavato) - in pendenza di fallimento e, relativamente a questo residuo, riprenderebbero vita i discorsi fatti in precedenza circa le interferenze tra procedure.
          Qualora ciò dovesse accadere, dovrà valutare se intervenire in quella procedura, con la necessaria assistenza di un legale, a norma dell'art. 41 TUB per far valere i crediti prioritari su quelli fondiari (le prededuzioni sostanzialmente) o attendere l'insinuazione fallimentare per il credito residuo, posto che, come detto il pagamento già ricevuto è definitivo e intoccabile.
          Zucchetti SG srl
        • Zucchetti SG

          15/09/2020 12:57

          RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

          Rispondiamo all'interrogativo osservando che a nostro avviso l'espressione utilizzata dal d.m. 227/2015 si riferisce alla eventualità in cui in sede di distribuzione del ricavato sia necessaria la formazione di una pluralità di masse in ragione del fatto che è stato eseguito il pignoramento contro una pluralità di debitori.
          Il caso ricorre, ad esempio, quando il pignoramento viene eseguito da tizio contro i suoi debitori, caio e sempronio, ciascuno comproprietario del medesimo immobile.
          In una situazione di tal fatta, se dovessero intervenire ulteriori creditori di uno solo dei debitori (ad esempio la società alfa interviene per un credito nei soli confronti di caio e la società beta per un credito nei soli confronti di sempronio), si avrà che in sede di distribuzione del ricavato dovranno essere predisposte due "masse", poiché sul ricavato dalla vendita i creditori presenti nella procedura concorrono in modo diverso tra loro.
      • Marika Micheli

        Arezzo
        21/01/2021 17:17

        RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

        Pongo il seguente quesito: a seguito di azione revocatoria è stato acquisito alla massa fallimentare un immobile, che in forza dell'atto revocato era stato ceduto dal fallito al figlio, sottoposto ad esecuzione immobiliare (intrapresa dopo la dichiarazione di fallimento e dopo la trascrizione della domanda giudiziale avente ad oggetto la revocatoria) dal creditore fondiario. il soggetto mutuatario non era il fallito bensì il figlio del fallito ed il bene su cui grava l'ipoteca è quello già di proprietà del fallito e oggetto dell'azione revocatoria.
        Come si risolve il conflitto fra il creditore fondiario ed i creditori del fallimento?
        In particolare, quanto verrà ricavato dall'esecuzione immobiliare come verrà ripartito?
        Poiché inoltre nella procedura esecutiva non è stata ancora disposta la vendita, è possibile che la vendita venga effettuata in sede endofallimentare?
        • Zucchetti SG

          Vicenza
          22/01/2021 20:27

          RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

          La trascrizione delle domande giudiziali elencate nell'art. 2652 c.c.- tra le quali è compresa quella di revocatoria- attua una specie di prenotazione, nel senso che fa retroagire gli effetti della sentenza che accoglie la domanda al momento in cui l'adempimento della formalità della trascrizione iniziale è stato effettuato, con la correlativa opponibilità ai terzi che, in pendenza del giudizio, abbiano acquisito dei diritti sul bene oggetto della controversia. Pertanto, nel caso concreto, la trascrizione della domanda giudiziale di revocatoria ha la funzione di rendere inopponibile al fallimento, che vede accolta la sua domanda, gli atti trascritti (atti negoziali o trascrizione di pignoramenti) successivamente alla trascrizione della domanda stessa.
          Se, quindi, è già intervenuta la sentenza di accoglimento della revocatoria e questa è passata in giudicato, il creditore non può proseguire la sua azione in quanto il pignoramento da lui effettuato non è opponibile al fallimento, che ha diritto a soddisfarsi prioritariamente sul bene oggetto della compravendita revocata; il fatto che si tratti di un creditore fondiario nulla rileva nel caso, perché qui non si discute del poteri del creditore fondiario in pendenza di fallimento dell'esecutato, ma di opponibilità del pignoramento effettuato al fallimento.
          Se, invece, non è ancora intervenuta una sentenza che, dichiarata l'inefficacia della compravendita, si saldi al momento della trascrizione della domanda, il creditore può proseguire la sua azione esecutiva nei confronti dell'acquirente, data la natura costitutiva della sentenza revocatoria. Eguale situazione si riproduce nel caso sia stata emessa una sentenza di revoca, ma questa non sia ancora passata in giudicato; però, in tal caso, l'esistenza di una decisione già emessa dovrebbe sconsigliare il creditore a proseguire perché, al momento in cui si arriverà alla decisione definitiva favorevole, potrebbero ravvisarsi elementi di responsabilità a carico di chi, pur sapendo dell'esistenza di una pronuncia di inefficacia della compravendita del bene su cui viene esercitata l'esecuzione, abbia, ciò nonostante, insistito nell'esecuzione. Salvo a valutare, in quest'ultimo caso, ma anche nel precedente, la possibilità di proporre opposizione di terzo ex art. 619 cpc, per cercare di bloccare l'esecuzione.
          Zucchetti SG Srl
    • Anna Simeone

      s.maria c.v. (CE)
      25/02/2019 12:37

      RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

      Buongiorno, ho un quesito da porre :
      sono subentrata ad un precedente curatore dopo dieci anni.
      Ho trovato questa situazione:
      1. la società fallita era proprietaria in bonis di due immobili ipotecati da creditore fondiario.
      2. Nel lontano 2004 il creditore fondiario procede al pignoramento immobiliare ed inizia l'esecuzione.
      3. In corso di esecuzione , nel 2007, la società fallita ( all'epoca sempre in, bonis) vende l'immobile ipotecato a terzi, i quali a loro volta vendono ad altra società.
      3. Nel 2010 la società fallisce ed il curatore procede ad intervenire nell'esecuzione immobiliare vantando diritti sull'immobile.
      4. IL fondiario oggi , poichè l'immobile pignorato è stato venduto all'asta, ritiene che la curatela non abbia alcun diritto in quanto l'immobile esecutato era stato già venduto a terzi quando è intervenuta la sentenza di fallimento e nulla è stato fatto dalla curatela . La curatela ha perso ogni diritto in quanto non ha proceduto alla revocatoria delle vendite dell'immobile?
      Ringrazio della disponibilità e della risposta che vorrete comunicare.
      distinti saluti
      avv. A. Simeone

      • Zucchetti SG

        27/02/2019 12:26

        RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

        La tesi sostenuta dal creditore fondiario non ci sembra condivisibile.
        Cerchiamo di spiegare le ragioni del nostro convincimento.
        Ai sensi dell'art. 51 l.fall. (oggi art. 150 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), salvo diversa disposizione di legge (rappresentata, come tra un attimo vedremo dall'art. 41 TUB che riconosce al creditore fondiario la possibilità di proseguire l'azione esecutiva individuale anche in presenza di fallimento del debitore), dal giorno della dichiarazione di fallimento (oggi, "dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale") nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti sorti durante il fallimento può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.
        Il divieto è funzionale alla tutela degli interessi della massa dei creditori concorsuali, nel senso che esso consente l'attrazione di tutti i beni appartenenti al fallito alla massa fallimentare, la liquidazione dell'attivo ai sensi degli artt. 104 ss. l.fall., (oggi artt. 211 e ss del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) e dunque la ripartizione del ricavato nel rispetto della par condicio creditorum.
        Il "precipitato" processuale dell'art. 51 (oggi art. 150 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) si rinviene nell'art. 107, comma 6, l.fall. (oggi art. 216, comma 10 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), ai sensi del quale se alla data di dichiarazione di fallimento sono pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi, ed in tal caso si applicano le disposizioni del codice di procedura civile; altrimenti, su istanza del curatore, il Giudice dell'esecuzione dichiara l'improcedibilità dell'esecuzione.
        La norma attribuisce al curatore un vero e proprio potere di scelta tra la prosecuzione della vendita in sede esecutiva individuale ovvero la richiesta al Giudice dell'esecuzione di dichiarare l'improcedibilità della stessa (scelta che, per altro, secondo Cass. civ., sez. I, 29 maggio 1997, n. 4743 non necessita del parere del comitato dei creditori), fatti salvi, ovviamente, i casi di cui all'art. 41 l.fall.
        Inoltre, secondo Cass. civ., sez. III, 22 dicembre 2015, n. 25802 l'improcedibilità dell'esecuzione quale conseguenza del mancato subentro, "non determina, la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento di cui agli artt. 2913 e segg. c.c., giacché nella titolarità di quegli effetti è già subentrato, automaticamente e senza condizioni, l'organo fallimentare, purché nel frattempo non sia intervenuta una causa di inefficacia del pignoramento medesimo; del resto, opinando diversamente, il curatore sarebbe sempre tenuto a proseguire l'esecuzione singolare onde conservare gli effetti del pignoramento, cosi svilendosi non solo la sua facoltà discrezionale di scelta di cui all'art. 107, comma 6, l.fall., ma anche il suo stesso ruolo centrale assunto dalla programmazione liquidatoria nella riforma del 2006".
        Quest'ultimo assunto è stato fatto proprio dal legislatore, il quale all'art. 216, comma 10, del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza ha previsto espressamente che declaratoria di improseguibilità della procedura lascia fermi "gli effetti conservativi sostanziali del pignoramento in favore dei creditori".
        Dunque, nell'esecuzione "ordinaria" (chiameremo così quella non "fondiaria") accade che il curatore può "far propria" l'esecuzione individuale già iniziata facendo proseguire in quella sede la liquidazione del bene, ed acquisendo poi all'attivo fallimentare il ricavato; in alternativa, può decidere di far interrompere l'esecuzione, senza perdere l'effetto prenotativo del pignoramento.
        È evidente allora che, così stando le cose, il curatore non ha alcuna necessità di impugnare con l'azione revocatoria gli atti dispositivi del bene pignorato medio tempore posti in essere dall'esecutato poi fallito, poiché quegli atti sono inopponibili alla massa per effetto del pignoramento precedentemente trascritto, i cui effetti prenotativi giovano anche alla massa.
        Anzi, se così facesse, la sua domanda sarebbe rigettata per carenza del presupposto di cui all'art. 100 c.p.c., (interesse ad agire) in quanto una sentenza di revocazione dell'atto non apporterebbe alla massa alcuna utilità aggiuntiva da quella che ha già determinato il pignoramento precedentemente trascritto.
        Tutte queste considerazioni, chiaramente, valgono allo stesso modo quando l'esecuzione procede poiché intrapresa da un creditore fondiario.
        Ai sensi dell'art. 41 TUB l'esecuzione per credito fondiario, in deroga all'art. 51 l.fall. (oggi art. 150 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) prosegue anche in caso di fallimento del debitore, salva la possibilità di intervento del curatore. La somma ricavata dall'esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene poi attribuita al fallimento.
        Quindi, in presenza di credito fondiario, la procedura esecutiva non solo prosegue, ma il credito della banca viene comunque soddisfatto, assegnandosi alla curatela solo la somma che sopravanza all'assegnazione.
        In passato si è discusso se l'esercizio del diritto all'assegnazione della somma ricavata dalla vendita riconosciuto al creditore fondiario imponesse o meno, in caso di fallimento del debitore esecutato, che questi si insinuasse al passivo, ma la questione pare ormai definitivamente risolta dalla giurisprudenza, la quale ha riconosciuto al creditore fondiario un privilegio di carattere meramente processuale, destinato a trovare la sua definitiva consacrazione solo in sede fallimentare, attraverso una rituale insinuazione al passivo, sicché al fondiario potrà essere assegnato (provvisoriamente) in sede esecutiva solo l'importo per il quale lo stesso è stato ammesso al passivo fallimentare.
        In particolare, secondo Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2004, n. 23572, "L'art. 42 del R.D. 16 luglio 1905, n. 646 (applicabile "ratione temporis", pur essendo stato abrogato dal testo unico 1 settembre 1993, n. 385, a far data dal 1 gennaio 1994), la cui applicazione è fatta salva dall'art. 51 della legge fallimentare, [ma le stesse considerazioni valgono, tal quali, per l'art. 51 l.fall.] nel consentire all'istituto di credito fondiario di iniziare o proseguire l'azione esecutiva nei confronti del debitore dichiarato fallito, configura un privilegio di carattere meramente processuale, che si sostanzia nella possibilità non solo di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale, ma anche di conseguire l'assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del proprio credito, senza che l'assegnazione e il conseguente pagamento si debbano ritenere indebiti e senza che sia configurabile l'obbligo dell'istituto procedente di rimettere immediatamente e incondizionatamente la somma ricevuta al curatore. Peraltro, poiché si deve escludere che le disposizioni eccezionali sul credito fondiario - concernenti solo la fase di liquidazione dei beni del debitore fallito e non anche quella dell'accertamento del passivo - apportino una deroga al principio di esclusività della verifica fallimentare posto dall'art. 52 della legge fallimentare, e non potendosi ritenere che il rispetto di tali regole sia assicurato nell'ambito della procedura individuale dall'intervento del curatore fallimentare, all'assegnazione della somma disposta in seno alla procedura individuale deve riconoscersi carattere provvisorio, essendo onere dell'istituto di credito fondiario, per rendere definitiva la provvisoria assegnazione, di insinuarsi al passivo del fallimento, in modo tale da consentire la graduazione dei crediti, cui è finalizzata la procedura concorsuale, e, ove l'insinuazione sia avvenuta, il curatore che pretenda in tutto o in parte la restituzione di quanto l'istituto di credito fondiario ha ricavato dalla procedura esecutiva individuale ha l'onere di dimostrare che la graduazione ha avuto luogo e che il credito dell'istituto è risultato, in tutto o in parte, incapiente" (Negli stessi termini anche Cass. civ., sez. I, 11 ottobre 2012, n. 17368 e Cass., sez. I, 30 marzo 2015, n. 6377 nonché, da ultimo, Cass., sez. III, 28 settembre 2018, n. 23482).
        Dunque, in conclusione, nessuna azione revocatoria doveva o poteva essere intrapresa dal curatore poiché la trascrizione del pignoramento immobiliare era sufficiente a garantire al fallimento l'inopponibilità degli atti successivamente posti in essere dal debitore esecutato.
        • Anna Simeone

          s.maria c.v. (CE)
          27/03/2019 18:23

          RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

          Riprendendo la precedente discussione, rappresento che l'immobile oggetto della procedura esecutiva è stato aggiudicato.
          Vorrei sapere in questo caso chi deve emettere la fattura?
          1. il fallimento ? al quale l'immobile non risulta intestato, ma che riceverà il ricavato della vendita;
          2. la società che risulta proprietaria dello stesso da una visura ipotecaria ?
          3. o il professionista delegato?
          Nel caso in cui la fattura dovrà essere emessa dal fallimento in nome e per conto della società " effettivamente proprietaria", ( trattandosi di immobile strumentale ), potrò seguire la relativa normativa iva ( di esenzione) ?
          • Zucchetti SG

            30/03/2019 17:36

            RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

            A nostro avviso la fattura deve essere emessa dal curatore.
            Cerchiamo di spiegare le ragioni di questa nostra opinione.
            Una delle problematiche classiche nell'ambito delle attività del professionista delegato attiene certamente agli adempimenti fiscali connessi al decreto di trasferimento, adempimenti che, nonostante la pluralità di interventi, le riforme del processo esecutivo intervenute nel 2005, nel 2006, nel 2014 e nel 2015 non hanno disciplinato.
            Fra questi si segnala, in particolare, quello relativo all'assolvimento degli obblighi IVA legati all'ipotesi in cui l'esecutato, soggetto passivo dell'imposta sul valore aggiunto, non possa o non voglia emettere la fattura relativa al trasferimento dell'immobile a seguito dell'aggiudicazione, e (soprattutto) l'aggiudicatario non sia a sua volta soggetto passivo IVA (che anche il trasferimento del bene compiuto nell'ambito di una procedura esecutiva sconti l'IVA è opinione pacifica in giurisprudenza, laddove si è affermato che "La vendita in sede di esecuzione forzata di un bene facente parte di un'azienda va assoggettata all'IVA (ed alla imposta fissa di registro), atteso che l'art. 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, definisce al primo comma come cessioni di beni soggette ad IVA gli "atti a titolo oneroso che importano il trasferimento di proprietà", adottati nell'esercizio di impresa, senza distinzione tra la natura volontaria o coattiva del trasferimento". Cass. civ., sez. V, 7 luglio 2006, n. 15570).
            Dunque, anche nella vendita forzata il meccanismo di funzionamento IVA necessita di un comportamento del soggetto cedente, il quale ha l'obbligo di emettere la fattura, di registrarla, di addebitare in rivalsa l'importo dell'imposta al soggetto acquirente, e di versare quindi l'imposta medesima nei termini di legge.
            La dottrina che si è occupata di questa tematica, con specifico riferimento all'ipotesi di delega al notaio delle operazioni di vendita, ha evidenziato l'esistenza di un vuoto normativo, anche attraverso il raffronto con il fallimento, ove il problema non si pone in quanto, per espressa disposizione dell'art. 74-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, gli adempimenti in materia di imposta sul valore aggiunto costituiscono un obbligo del curatore fallimentare, il quale deve emettere la fattura entro trenta giorni dal momento di effettuazione dell'operazione. Parimenti, ha constatato l'impossibilità di colmare tale vuoto normativo ricorrendo alla disciplina fallimentare, attesa la diversità fra la figura del curatore e quella del delegato, ove si consideri come il primo è organo della procedura (che continua l'attività dell'imprenditore assumendo la gestione del suo patrimonio), laddove il professionista delegato interviene esclusivamente nel compimento di uno o più atti del subprocedimento di vendita, che costituisce solo uno dei momenti in cui si articola il procedimento. Infine, ha delimitato l'area di maggiore problematicità del tema, ossia quella legata all'ipotesi in cui l'aggiudicatario non sia un soggetto IVA, posto che invece allorquando l'aggiudicatario sia un soggetto IVA, sullo stesso grava l'obbligo di c.d. autofatturazione ove il debitore non provveda, ex art. 6, commi 8 e 9, del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471.
            Al fine di indirizzare gli operatori è intervenuta più volte l'Agenzia delle Entrate.
            Viene in rilievo la risoluzione 16 maggio 2006 n. 62/E, ribadita con la risoluzione n. 102/E del 21 aprile 2009.
            La scelta di fondo seguita dall'Agenzia è stata quella di ritenere che obbligato ad emettere fattura in nome e per conto del contribuente e a versare l'IVA sia il professionista delegato delle operazioni di vendita.
            L'Agenzia delle Entrate sottolinea come, se da un lato il custode giudiziario non assume la titolarità del bene oggetto di espropriazione forzata, che va riconosciuta pur sempre in capo al debitore, quest'ultima non si delinea come una titolarità piena nel suo esercizio, in quanto priva del potere dispositivo sul bene. Ne consegue che anche la soggettività passiva d'imposta del debitore esecutato deve ritenersi in parte "limitata" sotto il profilo dei concreti adempimenti che ne discendono, in particolare con riguardo agli obblighi di fatturazione e versamento del tributo. La procedura espropriativa del resto rappresenta un momento patologico nella circolazione del bene immobile, cosicché anche sotto il profilo della tutela degli interessi dell'erario, gli obblighi di fatturazione e versamento del tributo, non solo nell'ipotesi di irreperibilità del contribuente ma, in ogni caso, devono ritenersi accentrati nella procedura stessa.
            Quanto affermato dalla risoluzione n. 158/E costituisce esplicazione di un orientamento già espresso in termini più generali dalla circolare n. 6 del 17 gennaio 1974, e dalla successiva risoluzione del 13 agosto 1974, in cui con riferimento alla figura dell'incaricato della vendita (commissionario, cancelliere, ufficiale giudiziario, istituto vendite giudiziarie) si era sottolineato come quest'ultimo ha l'obbligo di emettere la fattura con l'addebito della relativa IVA, precisandosi che l'IVA riscossa deve essere versata in tutti i casi in cui non sia possibile girare l'importo all'impresa esecutata, come ad esempio nel caso di irreperibilità di quest'ultima.
            È evidente che rispetto a questi precedenti la novità dell'intervento ultimo dell'Agenzia si incentra sulla ritenuta natura "limitata" della soggettività passiva d'imposta del debitore esecutato, dalla quale l'Agenzia fa discendere la generalizzazione della soluzione secondo cui gli obblighi di fatturazione e versamento gravano sul professionista delegato in tutti i casi, e non solo nelle ipotesi di irreperibilità dell'esecutato.
            È lecito domandarsi se esista la possibilità per l'esecutato di procedere personalmente agli adempimenti IVA.
            A questo proposito occorre affrontare e risolvere dapprima il caso in cui il debitore esecutato manifesti tempestivamente al delegato la volontà di procedere personalmente all'emissione della fattura ed al versamento di quanto dovuto a titolo di IVA.
            Sembra difficile negare in siffatta evenienza un "diritto" del debitore esecutato a poter procedere in tal senso, per due ragioni: in primo luogo perché manca una norma espressa che ponga esclusivamente in capo al professionista delegato l'obbligo di procedere in ogni caso alla emissione della fattura ed al versamento del tributo in nome e per conto del debitore; in secondo luogo, perché diversamente opinando sarebbe impedito al debitore di poter effettuare immediatamente compensazioni o detrazioni di IVA.
            Concretamente più articolato è invece il caso in cui il debitore esecutato affermi di dover operare delle compensazioni adducendo un credito di imposta. In questa circostanza, al fine di evitare che la somma destinata al versamento dell'IVA sia distratta per essere destinata ad altro scopo, il professionista delegato ben potrà richiedere la produzione di una attestazione dell'Agenzia delle Entrate che certifichi il credito d'imposta del debitore.
            Come detto, l'Agenzia delle entrate afferma che il professionista delegato deve emettere la fattura in nome e per conto del debitore esecutato, determinando così uno spostamento dell'adempimento dell'obbligo di emissione della fattura – che normalmente spetta al soggetto passivo dell'imposta - in capo ad un terzo.
            Tra gli adempimenti ai fini IVA, l'emissione della fattura (il cui momento di emissione, secondo la citara risoluzione n. 62/E del 16 maggio 2006, sorge al tempo del versamento del corrispettivo, ex art. 6, comma 2 let. a) del d.P.R. 633/1972) assume un ruolo cardine: la suddetta emissione infatti, da un lato legittima colui che effettua l'operazione imponibile ad esercitare la rivalsa nei confronti del soggetto che riceve la fattura, e dall'altro consente al cessionario la detrazione dell'imposta addebitatagli.
            Quanto alle modalità di emissione del documento fiscale, deve ricorrersi all'istituto della fatturazione in nome e per conto.
            La possibilità per soggetti diversi dal soggetto passivo di emettere fattura per conto di quest'ultimo è prevista dall'art. 21, comma 1, d.P.R. n. 633/1972 ai sensi del quale "per ciascuna operazione imponibile il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio emette fattura o … ferma restando la sua responsabilità, assicura che la stessa sia emessa … per suo conto, da un terzo ….".
            Sul piano operativo la fatturazione in nome e per conto si esegue ricorrendo alla cd. fatturazione in numerazione progressiva per serie distinte, tendenzialmente ammessa nel nostro ordinamento e, dunque, numerando la fattura emessa in nome e per conto dal professionista delegato con il n. 1/serie, non seguita da altra fattura successiva, salvo ipotesi particolari, quali ad esempio la vendita a più lotti (nel qual caso seguiranno le fatture progressive n. 2/serie, n. 3/serie, ecc.).
            In alternativa potrebbe pensarsi di chiedere il numero della fattura allo stesso debitore esecutato, ove costui si mostri collaborativo.
            Per quanto attiene al versamento dell'imposta, l'Agenzia delle entrate con la risoluzione 19/6/2006 n. 84 ha istituito il codice tributo da utilizzare, da parte dei professionisti delegati, per il versamento, mediante modello F24, dell'IVA relativa alla vendita di beni immobili, oggetto di espropriazione forzata, appartenenti a soggetti esecutati irreperibili.
            In questa occasione, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito altresì che: "nei casi in cui il debitore esecutato sia reperibile, l'imposta dovuta dovrà essere versata mediante modello F24, utilizzando gli ordinari codici tributo relativi all'IVA"; nel solo caso di irreperibilità del soggetto esecutato, il versamento dell'imposta dovrà essere eseguito, secondo le modalità previste dall'art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, con il seguente codice tributo, appositamente istituito: 6501 denominato "IVA relativa alla vendita, ai sensi dell'articolo 591-bis c.p.c., di beni immobili oggetto di espropriazione forzata".
            Ciò detto, e venendo al caso prospettato, riteniamo che la fattura debba essere emessa dal curatore in quanto si tratta comunque di una operazione di liquidazione di un cespite acquisito all'attivo fallimentare (sebbene compiuta nell'ambito di una procedura esecutiva individuale), poiché avente ad oggetto un bene che era stato alienato dal debitore, successivamente fallito, dopo il pignoramento.
            Troverà quindi applicazione il citato art. 74-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a mente del quale per le operazioni compiute dopo la dichiarazione di fallimento gli adempimenti IVA sono eseguiti dal curatore del fallimento.
            In questi termini si è espressa del resto l'Agenzia delle Entrate con la risoluzione 68/E del 30 marzo 2007 con riferimento ai beni che siano stati liquidati dal curatore all'esito dell'esperimento dell'azione revocatoria. Infine, quanto alla normativa IVA applicabile, valgono le regole generali previste per l'imprenditore in bonis.
          • Zucchetti SG

            03/06/2019 07:19

            RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

            La risposta all'interrogativo posto richiede lo svolgimento di alcune premesse normative di fondo.
            Ai sensi dell'art. 1103 c.c., ciascun comproprietario della cosa comune può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota.
            Ogni comproprietario, dunque, può concludere negozi giuridici che abbiano ad oggetto la quota di sua appartenenza, purché questi negozi non incidano sull'uso della cosa comune da parte degli altri comproprietari (art. 1102 c.c.).
            L'amministrazione della cosa comune è poi regolata dall'art. 1105 e ss c.c.
            In particolare, a mente dell'art. 1105 c.c. tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell'amministrazione della cosa in comproprietà, e le decisioni che concernono l'ordinaria amministrazione della stessa vengono prese a maggioranza dei comproprietari, calcolate secondo il valore delle rispettive quote, con deliberazioni che sono valide se tutti i partecipanti sono stati preventivamente informati sull'oggetto della deliberazione.
            L'ultimo comma del citato articolo dispone poi che se le decisioni necessarie all'amministrazione della cosa comune non vengono assunte (oppure non si forma o non è formabile una maggioranza, come ad esempio accade quando due comproprietari sono titolari, ciascuno, del 50% dell'intero) o non vengono eseguite, ogni partecipante può promuovere un ricorso all'autorità giudiziaria che decide in luogo della maggioranza dei comproprietari, e se ritenuto può nominare un amministratore affinchè le decisioni assunte siano concretamente attuate.
            Va ancora considerato l'art. 1106 c.c., a mente del quale la maggioranza dei comproprietari può anche approvare un regolamento che disciplini l'uso della cosa comune e la sua ordinaria amministrazione, delegandola eventualmente ad uno o più comproprietari ovvero ad un terzo estraneo.
            Ciò premesso, quando la quota di comproprietà sia fatto oggetto di pignoramento, il debitore esecutato ne diviene custode ex lege (art. 559 c.p.c.) fino a quando il giudice (normalmente con la pronuncia dell'ordinanza di cui all'art. 569 c.p.c.) non sostituisca nella custodia del cespite il professionista delegato per le operazioni di vendita, oppure l'IVG competente per il circondario.
            La disciplina della locazione dell'immobile pignorato è contenuta nell'art. 560 c.p.c., recentemente riscritto dall'art. 4, comma 2, d.l. 14/12/2018, n. 135, convertito dalla legge 11/2/2019, n. 12, pubblicata sulla Gazz. Uff. n. 36 del 12/2/2019, che per effetto della previsione di cui al successivo comma 4 si applicherà alle procedure esecutive iniziate a partire dal 13 febbraio 2019.
            Per quanto qui interessa, mentre il previgente art. 560 genericamente prevedeva che al custode fosse vietato concedere in locazione l'immobile senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, il novellato comma settimo della disposizione in parola dispone che "Al debitore è fatto divieto di dare in locazione l'immobile pignorato se non è autorizzato dal giudice dell'esecuzione".
            I commentatori della disposizione sono tuttavia concordi nel ritenere che, a dispetto del dato letterale, una lettura sistematica della norma imponga di ritenere che la legittimazione del debitore (che potrebbe anche non essere più custode, ove nella custodia fosse stato sostituito da altri con provvedimento del giudice dell'esecuzione) alla stipula dei contratti di locazione vada circoscritta alle sole ipotesi in cui egli, abitando l'immobile unitamente al suo nucleo familiare, non ne abbia perso la disponibilità, secondo quanto prescritto dal terzo comma del novellato art. 560, del quale costituisce quindi un corollario, non potendosi ragionevolmente ammettersi che sia impedito al custode la stipula di contratti di locazione aventi ad oggetto l'immobile non occupato dal debitore e dalla sua famiglia o comunque da essi già liberato.
            Conseguentemente, quando l'immobile non è abitato dal debitore con la sua famiglia, il custode, previa autorizzazione del giudice (cui spetta il potere di governare l'esecuzione in forza dell'art. 484 c.p.c.) potrà stipulare o risolvere contratti di locazione.
            Così ricostruito il quadro normativo di riferimento osserviamo che per assumere le determinazioni del caso il custode dovrà, in primo luogo, prendere visione del contratto di locazione e verificare se esso abbia avuto ad oggetto l'intero o la singola quota.
            Ove il contratto abbia avuto ad oggetto la quota egli, previa autorizzazione del giudice, potrà agire per la riscossione dei canoni e per la intimazione di uno sfratto per morosità.
            Se invece il contratto abbia avuto ad oggetto l'intero dovrà procedersi ad una sua interpretazione e verificare se ciascun comproprietario abbia concesso in locazione la propria quota (cosa che legittimerà il custode ad agire come se la locazione avesse avuto ad oggetto la singola quota) ovvero (cosa più probabile) se il contratto abbia avuto ad oggetto la locazione dell'intero, senza distinzione alcuna.
            In quest'ultimo caso, il comportamento da serbare deve partire dalla considerazione per cui la locazione della cosa comune si qualifica, secondo la giurisprudenza, come atto di ordinaria amministrazione. Si è detto, infatti, che "Con riguardo ad un procedimento di sfratto per finita locazione relativo ad un immobile in comproprietà, ciascun comproprietario - quale titolare del diritto di concorrere alla gestione ordinaria del bene, con il solo limite del rispetto della volontà della maggioranza - è legittimato ad agire in giudizio, nella presunzione del consenso degli altri alla proposizione dell'azione, salva la possibilità per i comproprietari che rappresentino una quota maggioritaria di opporsi all'azione medesima. Nel caso in cui siano i comproprietari rappresentanti una quota maggioritaria ad agire in giudizio, un eventuale loro interesse personale al rilascio dell'immobile (nella specie, ai fini dell'utilizzazione di esso in proprio) non vale a trasformare la domanda giudiziale in un atto eccedente l'ordinaria amministrazione, atteso che il suddetto interesse non "qualifica" l'atto di gestione, inerendo alla successiva utilizzazione del bene, peraltro rimessa alla determinazione anche degli altri comproprietari e comunque non realizzabile senza un corrispondente vantaggio di tutti" (Cass. Sez. III, 5 aprile 1995, n. 4005).
            Ed allora, a nostro avviso, occorrerà procedere nei termini che seguono.
            In primo luogo occorrerà relazionare al giudice chiedendo di essere autorizzato ad agire per la risoluzione del contratto, previa acquisizione del consenso della maggioranza dei comproprietari.
            Ottenuta detta autorizzazione, converrà comunicare formalmente ai comproprietari l'intenzione di agire per la risoluzione del contratto concedendo loro un congruo termine per esplicitare il proprio dissenso, avvertendoli che in difetto il loro silenzio sarà considerato tacito assenso.
            Ove la maggioranza dei condomini dovesse ritenere di non recidere il sinallagma si dovrà chiedere, eventualmente anche per il tramite di un ricorso all'autorità giudiziaria ex art. 1106, comma secondo, c.c. , che si agisca giudizialmente per ottenere la condanna del conduttore al pagamento della quota parte dei canoni non versati, i quali costituiscono frutti civili della cosa pignorata, come tali assoggettati ad esecuzione ex art. 2912 c.c..
    • Silvio Marchini

      Brescia
      01/10/2020 14:16

      RE: Esecuzione immobiliare e liquidazione coatta amministrativa

      Buongiorno, mi trovo in questa situazione:
      1) al momento di apertura della procedura di Liquidazione Coatta Amministrativa pendeva avanti il Tribunale di Brescia una esecuzione immobiliare dichiarata improcedibile ai sensi della L. 400/75. Il creditore procedente è un istituto di credito che ha successivamente ceduto il proprio credito a terzi;
      2) il creditore procedente ha attivato azione esecutiva a seguito di iscrizione di ipoteca giudiziale;
      3) il creditore procedente si è insinuato al passivo della procedura chiedendo in prededuzione le spese sostenute durante tutta l'azione l'esecutiva poi resa improcedibile. Le spese risultano documentate, ma non sono state liquidate dal GE. Leggendo la sentenza della Cass. N. 4752/94 parrebbe desumersi che le spese debbano essere sempre liquidate con provvedimento del Giudice;
      Domanda:
      L'ammissione al passivo della procedura può essere richiesta dal creditore procedente anche in assenza del provvedimento del Giudice che liquida le spese?
      Grazie
      Marchini Silvio
      • Zucchetti SG

        04/10/2020 11:53

        RE: RE: Esecuzione immobiliare e liquidazione coatta amministrativa

        Rispondiamo all'interrogativo formulato partendo da alcune affermazioni compiute da Cass., sez. III, 28 settembre 2018, n. 23482, premettendo che essa non ha affrontato expressis verbis la questione posta dalla domanda, ma ha comunque svolto delle deduzioni sul punto.
        Il caso riguardava, come noto, una procedura esecutiva per credito fondiario, proseguita dunque nonostante il fallimento del debitore, in cui il curatore aveva chiesto, invano, che in sede di distribuzione del ricavato, nel determinare la somma da attribuire al creditore fondiario, fossero scorporate, con versamento in favore della curatela, di crediti prededucibili riconosciuti in sede fallimentare (si trattava del credito per ICI e degli oneri condominiali relativi all'immobile, nonché del compenso spettante alla curatela fallimentare).
        Nel decidere il ricorso proposto dalla curatela, la Corte ha affermato che nell'ambito di un'azione esecutiva iniziata o proseguita dal creditore fondiario, ai sensi dell'art. 41 del d.lgs. n. 385/1993, nei confronti del debitore fallito, il curatore che intenda ottenere la graduazione di crediti di massa maturati in sede fallimentare a preferenza di quello fondiario, e quindi l'attribuzione delle relative somme con decurtazione dell'importo attribuito all'istituto procedente, dovrà costituirsi nel processo esecutivo e documentare l'avvenuta emissione da parte degli organi della procedura fallimentare di formali provvedimenti (idonei a divenire stabili ai sensi dell'art. 26 l.fall., oggi art. 124 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) che (direttamente o quanto meno indirettamente, ma inequivocabilmente) dispongano la suddetta graduazione.
        A queste affermazioni la pronuncia aggiunge a chiare lettere quella per cui la liquidazione delle spese sorte all'interno della procedura esecutiva individuale compete "in via esclusiva" al giudice dell'esecuzione "quale giudice davanti al quale si è svolto il suddetto processo esecutivo individuale".
        Questa affermazione, a nostro avviso, va parametrata con riferimento alle ipotesi di chiusura fisiologica della procedura esecutiva, nella quale essa costituisce condivisibile declinazione dei principi di cui all'art. 91 (a mente del quale il giudice "con la sentenza che chiude il processo davanti a lui" provvede alla liquidazione delle spese) e 95 c.p.c.
        Invero, è frequente in giurisprudenza l'affermazione per cui l'art. 95 cit. presuppone un esito fruttuoso della espropriazione (cfr. Cass., Sez. III, 18 settembre 2014, n. 19638; 29 maggio 2003, n. 8634; Cass., Sez.II, 12 maggio 1999, n. 4695), e non è quindi applicabile nelle ipotesi in cui il procedimento si arresti prima della sua naturale conclusione, per rinuncia o per altra causa, restando in tal caso le spese a carico, rispettivamente, del rinunciante, in mancanza di un diverso accordo tra le parti, oppure di chi le ha anticipate (cfr. Cass., Sez. III, 14 aprile 2005, n. 7764; 14 novembre 2002, n. 16040; Cass., Sez. lav., 4 agosto 2000, n. 10306; Cass. Sez. I, 18 dicembre 2015, n. 25585).
        Del resto, a norma dell'art. 632 c.p.c., il giudice, con l'ordinanza che pronuncia l'estinzione del processo, provvede alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti, "se richiesto".
        Riteniamo, pertanto, che nel caso di improseguibilità per intervenuta dichiarazione di fallimento, il giudice dell'esecuzione procede alla sola liquidazione dei compensi e delle spese degli ausiliari che abbiano già prestato la loro opera nella procedura (per i quali non opera l'art. 95 c.p.c. che regola i rapporti tra creditore e debitore) e li pone a titolo di anticipazione ai sensi dell'art. 8, d.P.R. 115/2002 a carico del creditore procedente, così da consentire a quest'ultimo di chiederne l'ammissione al passivo del fallimento (cfr Cass. Sez. I, 18 dicembre 2015, n. 25585).
        In relazione alle altre spese vive anticipate, riteniamo invece il creditore procedente possa insinuare al passivo le spese vive di procedura anche in difetto di provvedimento di liquidazione.
    • Eleonora Barbini

      Arezzo
      14/03/2022 18:22

      RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

      Buon pomeriggio,
      ho un quesito da porre sui rapporti tra esecuzione immobiliare e fallimento.
      Al momento della dichiarazione di fallimento pendevano delle procedure pignoratizie individuali promosse da creditori fondiari.
      Il fallimento è intervenuto nelle varie esecuzioni in corso. Con riferimento a una di queste il creditore fondiario deve provvedere a reintegrare il fondo spese della procedura a pena di improcedibilità dell'esecuzione o di estinzione della procedura ex art. 631 bis c.p.c., entro il prossimo 22.03.2022 (così come disposto nell'ordinanza di vendita e in successivo provvedimento del G.E.).
      Qualora il creditore non provvedesse al pagamento di quanto dovuto e fosse dichiarata l'improcedibilità dell'esecuzione o l'estinzione della procedura il bene tornerebbe nella disponibilità dei falliti e, dunque, del fallimento. In tal caso il curatore fallimentare potrebbe comunque procedere con una vendita endo-fallimentare?
      Ringrazio per l'attenzione
      • Zucchetti SG

        16/03/2022 09:39

        RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

        Ai sensi dell'art. 41 TUB l'esecuzione per credito fondiario, in deroga all'art. 51 l.fall. (oggi art. 150 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) prosegue anche in caso di fallimento del debitore, salva la possibilità di intervento del curatore. La somma ricavata dall'esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento.
        Quindi, in presenza di credito fondiario, la procedura esecutiva non solo prosegue, ma il credito della banca viene comunque soddisfatto, assegnandosi alla curatela solo la somma che sopravanza all'assegnazione.
        La prosecuzione della procedura, è stato precisato, avviene a meno che in sede fallimentare sia già stata ordinata la vendita prima che questa sia stata disposta dal Giudice dell'esecuzione.
        Così si è pronunciata Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2011, n. 18436, secondo la quale "Il potere degli istituti di credito fondiario, di proseguire l'esecuzione individuale sui beni ipotecati anche dopo la dichiarazione di fallimento del mutuatario, non esclude che il giudice delegato possa disporre la vendita coattiva degli stessi beni, perché le due procedure espropriative non sono incompatibili ed il loro concorso va risolto in base all'anteriorità del provvedimento che dispone la vendita; detto principio conserva la sua validità anche nel regime successivo all'approvazione del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385), che, pur configurando diversamente la natura del credito fondiario ed estendendone grandemente la categoria, ha nel contempo conservato la tutela delle banche mutuanti, le quali possono instaurare e proseguire l'azione esecutiva sui beni ipotecati, anche dopo il fallimento del debitore, ovvero intervenire nell'esecuzione".
        Il fatto che la procedura esecutiva prosegua, non vuol dire che vengano in qualche modo derogate le regole per cui a seguito della dichiarazione di fallimento i beni de fallito vengano acquisiti alla massa, secondo la regola generale di cui all'art. 42, comma 1, l.fall.
        La prosecuzione della procedura avviata dal creditore fondiario detta semplicemente uno speciale procedimento liquidatorio, derogando all'art. 51 in funzione della tutela dell'interesse del creditore medesimo, che riscuote il suo credito al di fuori delle scansioni temporali tipiche del procedimento di liquidazione dell'attivo e del riparto.
        Prova indiretta ne è il fatto che il ricavato dalla vendita che dovesse eventualmente sopravanzare una volta soddisfatto il creditore fondiario, deve essere versato alla curatela del fallimento.
        Il necessario precipitato di queste premesse è dunque che ove, per qualsivoglia ragione, la procedura esecutiva dovesse venir meno, il bene può essere liquidato (anzi, deve essere liquidato) dal curatore, a norma dell'art. 107, comma primo o secondo, previa eventuale integrazione del programma di liquidazione.
        Addirittura, secondo Cass. Sez. I, 26 febbraio 2019, n. 5655 gli effetti sostanziali del pignoramento permangono anche quando la procedura si estingue, dopo la dichiarazione di fallimento, per effetto di fenomeni endoprocessuali, quali ad esempio il mancato versamento delle spese necessarie (anche se in dottrina questa affermazione ha registrato dei dissensi).
        In ogni caso, nulla esclude che la stessa curatela si attivi per versare il fondo spese e consentire la prosecuzione della procedura anche a fronte dell'inerzia del creditore fondiario, quante volte lo ritenga utile nell'interesse della massa (perché, ad esempio, vi sono già state concrete manifestazioni di interesse all'acquisto).
        • Santina Meli

          siracusa
          21/10/2022 10:59

          RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

          Buongiorno, avrei necessità di un consiglio.
          Alla data di dichiarazione del fallimento era pendente una procedura esecutiva immobiliare già in stato avanzato avente ad oggetto diversi lotti, dei quali solo uno oggetto di ipoteca del creditore fondiario che è intervenuto nella p.e., mentre relativamente agli altri ne sono stati venduti due su tre e si è in attesa del versamento del saldo prezzo.
          Considerato che il fondiario vanta un credito con ipoteca solo su un immobile, ritengo che non possa limitarmi a depositare un mero atto di intervento ma che debba depositare un atto contestuale di intervento e subentro al creditore procedente per proseguire la procedura anche per i beni non oggetto di fondiario.
          Resto in attesa di Vostro parere in merito.
          Grazie
          • Zucchetti SG

            Vicenza
            21/10/2022 18:13

            RE: RE: RE: RE: Esecuzione immobiliare e fallimento

            In primo luogo il creditore fondiario può continuare l'esecuzione solo sul bene oggetto dell'ipoteca fondiaria in suo favore in quanto solo per questo egli gode del privilegio processuale di cui all'art. 41 TUB, che gli consente, in deroga al divieto di cui all'art. 51 l. fall., di iniziare e proseguire l'azione esecutiva anche in pendenza del fallimento del debitore. Sugli altri due beni il creditore fondiario non ha iscritto ipoteca per cui l'esecuzione immobiliare iniziata da un ipotecario ordinario- non fondiario- intervenuto il fallimento diventa improseguibile e il curatore può eventualmente sostituirsi a norma dell'art. 107 l. fall. al creditore procedente per continuarla ove ritenga conveniente questa linea, oppure chiedere che sia dichiarata la improcedibilità e liquidare i beni in sede fallimentare.
            Il creditore fondiario intervenuto nell'esecuzione iniziata da altri, per continuarla nel momento in cui l'azione del creditore procedente è bloccata a causa del fallimento del debitore, non deve sostituirsi al creditore procedente (cosa che può fare, come detto il curatore), ma deve solo manifestare l'intenzione di proseguire l'esecuzione in cui è intervenuto e prendere l'iniziativa per il compimento degli atti che l'iniziale procedente non può più compiere per il divieto di cui all'art. 51 l. fall.; l'esecuzione, quindi, prosegue su impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva utilizzando l'estensione in proprio favore di tutti gli atti compiuti finché il titolo del creditore procedente, la cui validità non è venuta meno, poteva essere azionato.
            Zucchetti SG srl