Forum ESECUZIONI - INTERFERENZE TRA ESECUZIONE E FALLIMENTO

vendita in esecuzione immobiliare con fondiario di immobile garantito da ipoteca del terzo poi fallito

  • Mauro Baraldi

    Viterbo
    26/10/2020 10:38

    vendita in esecuzione immobiliare con fondiario di immobile garantito da ipoteca del terzo poi fallito

    Istituto di credito concede nel 2003 mutuo, garantito da ipoteca di primo grado, al Sig. X che, in seguito, dona l'immobile alla Sig.ra Y.

    Per il recupero del proprio credito la banca promuove nel 2012 esecuzione immobiliare in danno della Sig.ra Y.

    Nel 2013 la Sig.ra Y viene dichiarata fallita.

    Il fallimento è intervenuto nella procedura esecutiva immobiliare; il cespite è stato venduto e siamo giunti alla fase della distribuzione del ricavato.

    Nel febbraio 2020 l'istituto di credito presenta in sede fallimentare un atto, qualificato come domanda di insinuazione al passivo, ma con cui chiede semplicemente il riconoscimento e la dichiarazione di opponibilità della ipoteca rispetto al fallimento, pur non essendo direttamente creditore della fallita (ma del dante causa).

    Il GD provvede così:"rilevato che non viene chiesta l'ammissione al passivo della procedura, rilevato che il creditore istante vanta un credito nei confronti di un soggetto diverso dalla fallita in virtù di ipoteca iscritta su un bene oggi ricompreso nella massa attiva fallimentare; visti i principi espressi da Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657;considerato pertanto che il creditore vantante un credito assistito da garanzia sui beni ricompresi nell'attivo fallimentare ha l'onere di insinuarsi al passivo; considerato che tale orientamento appare condivisibile ed è confermato anche dalla scelta operata dal nuovo codice della crisi ove all'art. 201 si precisa che si propongono "le domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, nonché le domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui; considerato che nel caso di specie anche volendo aderire all'orientamento contrario non si è ancora nella fase distributiva del fallimento ed il bene ipotecato risulta oggetto di pignoramento ; ritenuto pertanto che secondo il contrario orientamento il terzo datore di ipoteca deve avvalersi del procedimento di cui agli artt. 602 e ss. cpc; tutto ciò premesso, l'istanza deve essere dichiara inammissibile in quanto non si richiede né l'ammissione al passivo né risulta che il bene sia oggetto di vendita in sede fallimentare né allo stato è in corso il riparto in sede fallimentare"

    Dato il tenore del provvedimento, l'istituto di credito può beneficiare della attribuzione di somme in sede esecutiva? Trattasi di attribuzione provvisoria quale credito fondiario subordinata, ai fini della definitività, ad un esame in sede fallimentare?
    • Zucchetti SG

      28/10/2020 13:08

      RE: vendita in esecuzione immobiliare con fondiario di immobile garantito da ipoteca del terzo poi fallito

      Per rispondere all'interrogativo occorre muovere dalla premessa per cui l'esecuzione per credito fondiario (cioè soggiacente alle speciali disposizioni del testo unico bancario) è tale non solo quando essa sia intrapresa nei confronti del debitore che ha ricevuto il finanziamento garantito da ipoteca, ma anche quando essa venga azionata nei confronti dei successori di costui o del terzo datore di ipoteca.
      Occupandosi ad esempio dell'applicabilità dell'art. 41, comma 1 TUB (a mente del quale "Nel procedimento di espropriazione relativo a crediti fondiari è escluso l'obbligo della notificazione del titolo contrattuale esecutivo") Cass. civ., sez. III, 7 marzo 1992, n. 2755 ha affermato che la disposizione appena citata può spiegare i suoi effetti anche quando l'esecuzione viene promossa contro i successori a titolo universale o particolare del debitore.
      Con più specifico riferimento all'espropriazione promossa contro il terzo proprietario devono invece citarsi Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2013, n. 6105 (che ha sostenuto che "Il diritto dell'istituto di credito fondiario di agire esecutivamente per il recupero del proprio credito sussiste non solo contro gli aventi causa ed i successori del mutuatario, ma anche - in applicazione dell'art. 20 del r.d. 16 luglio 1905, n. 646 - nei confronti dei successori e degli aventi causa dell'eventuale terzo datore dell'ipoteca concessa a garanzia del mutuo", nonché Trib. Napoli, 14 aprile 2011, e Trib. Larino, 5 aprile 2017, n. 206.
      La soluzione sembra certamente condivisibile, in quanto da un lato la previsione normativa non distingue tra contraente originario e cessionario; dall'altro la scelta legislativa è stata quella di accordare una posizione di privilegio alla tipologia di credito (e quindi al creditore) e non già quella di collocare sic et simpliciter il beneficiario del finanziamento originario contraente in una posizione di svantaggio, con la conseguenza che la disposizione opera indipendentemente dalle modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio dal lato passivo.
      Se dunque la procedura esecutiva è suscettibile di soggiacere allo speciale regime delle esecuzioni per credito fondiario essa, ai sensi dell'art. 41 TUB prosegue anche in caso di fallimento del debitore, salva la possibilità di intervento del curatore.
      In passato si è discusso se l'esercizio del diritto all'assegnazione della somma ricavata dalla vendita riconosciuto al creditore fondiario imponesse o meno, in caso di fallimento del debitore esecutato, che questi si insinuasse al passivo.
      Le questioni, a questo proposito, sono due. Da un lato ci si domanda se il creditore fondiario debba insinuarsi al passivo al fine di trattenere, in sede di riparto, il versamento diretto ricevuto dall'aggiudicatario ex art. 41, comma quarto TUB; dall'altro, se detta insinuazione sia requisito necessario non solo per trattenere la somma, ma anche per riceverla, con la conseguenza che, in questo secondo caso, l'interrogativo già si porrà in sede di versamento del saldo.
      Il primo problema può oggi dirsi ormai superato, atteso che la giurisprudenza si è ormai consolidata nel senso di ritenere che l'insinuazione al passivo sia necessaria.
      In particolare, secondo Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2004, n. 23572, "L'art. 42 del R.D. 16 luglio 1905, n. 646 (applicabile "ratione temporis", pur essendo stato abrogato dal testo unico 1 settembre 1993, n. 385, a far data dal 1 gennaio 1994), la cui applicazione è fatta salva dall'art. 51 della legge fallimentare, nel consentire all'istituto di credito fondiario di iniziare o proseguire l'azione esecutiva nei confronti del debitore dichiarato fallito, configura un privilegio di carattere meramente processuale, che si sostanzia nella possibilità non solo di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale, ma anche di conseguire l'assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del proprio credito, senza che l'assegnazione e il conseguente pagamento si debbano ritenere indebiti e senza che sia configurabile l'obbligo dell'istituto procedente di rimettere immediatamente e incondizionatamente la somma ricevuta al curatore. Peraltro, poiché si deve escludere che le disposizioni eccezionali sul credito fondiario - concernenti solo la fase di liquidazione dei beni del debitore fallito e non anche quella dell'accertamento del passivo - apportino una deroga al principio di esclusività della verifica fallimentare posto dall'art. 52 della legge fallimentare, e non potendosi ritenere che il rispetto di tali regole sia assicurato nell'ambito della procedura individuale dall'intervento del curatore fallimentare, all'assegnazione della somma disposta nell'ambito della procedura individuale deve riconoscersi carattere provvisorio, essendo onere dell'istituto di credito fondiario, per rendere definitiva la provvisoria assegnazione, di insinuarsi al passivo del fallimento, in modo tale da consentire la graduazione dei crediti, cui è finalizzata la procedura concorsuale, e, ove l'insinuazione sia avvenuta, il curatore che pretenda in tutto o in parte la restituzione di quanto l'istituto di credito fondiario ha ricavato dalla procedura esecutiva individuale ha l'onere di dimostrare che la graduazione ha avuto luogo e che il credito dell'istituto è risultato, in tutto o in parte, incapiente". Negli stessi termini anche Cass. civ., sez. I, 11 ottobre 2012, n. 17368 e Cass., sez. I, 30 marzo 2015, n. 6377).
      Meno certo è l'altro corno della tematica, quello che appunto riguarda la necessità che l'ammissione al passivo si richiesta non solo per trattenere le somme in sede di riparto, ma anche per riceverle al momento del versamento del saldo.
      In argomento occorre dare preliminarmente conto del fatto che Cass., sez. III, 28 settembre 2018, n. 23482 ha affermato che l'insinuazione al passivo è necessaria anche al fine del versamento della somma in pro del creditore fondiario, sebbene (ed il dato non sembra trascurabile ai fini che qui interessano) in un caso in cui l'istituto del versamento diretto non aveva trovato applicazione (per ragioni che dal tessuto motivazionale non è dato cogliere), sicché tutto il contenzioso si è sviluppato in sede di riparto.
      Ciò detto, secondo una prima impostazione ermeneutica, dall'art. 52, comma 3 l.fall. – oggi art. 151, comma 3, del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - (che prevede l'obbligo di insinuazione al passivo anche dei creditori fondiari) si ricaverebbe il principio per cui l'intervenuto accertamento nel passivo fallimentare del credito fondiario costituisce presupposto necessario per l'attribuzione provvisoria del ricavato della vendita in sede di esecuzione individuale, con la conseguenza che in assenza di insinuazione essa non potrebbe avvenire in difetto del titolo accertativo del credito, rappresentato dal decreto giudiziale di ammissione al passivo.
      A questa opinione è tuttavia possibile affiancare l'idea, forse più aderente al dettato normativo, secondo cui l'insinuazione al passivo è presupposto necessario non già per l'assegnazione provvisoria, ma per la definitiva attribuzione di quanto conseguito (provvisoriamente) in sede di esecuzione individuale.
      Da un lato, infatti, viene in considerazione l'art 41, comma secondo TUB il quale prevede che sia attribuito alla banca quanto risulta ad essa spettante, senza far riferimento alla previa insinuazione al passivo, insinuazione che peraltro potrebbe non ancora essere stata vagliata dal Giudice delegato, quante volte in sede di esecuzione individuale il versamento del prezzo deve essere eseguito in un momento che precede l'udienza di verifica dello stato passivo.
      Dall'altro, sia la relazione ministeriale al d.lgs 169/2007 che la giurisprudenza (Cass., sez I, 30 marzo 2015, n. 6377) sembrano considerare l'insinuazione al passivo quale presupposto per "trattenere", non già per percepire il prezzo ricavato dalla vendita.
      Va da ultimo ricordato che secondo la citata n. 23482/2018, ove il procedimento di accertamento del passivo sia pendente ma non si sia ancora concluso, il giudice dell'esecuzione prima di dichiarare definitivo il piano di riparto (o prima di autorizzare il versamento diretto, nel caso in cui si ritenga che il profilo rilevi già in quella sede) dovrà preliminarmente accertarsi del fatto che il creditore fondiario abbia ritualmente avanzato istanza di ammissione al passivo, e quindi a tal'uopo rinvierà l'udienza di approvazione del progetto di distribuzione ad una data successiva a quella in cui è stata fissata l'udienza di verifica del passivo.
      Posto dunque che è necessaria la previa insinuazione al passivo (discutendosi solo se essa sia necessaria al solo fine di trattenere o anche al fine di ricevere il saldo prezzo), occorre chiedersi se a questo onere sia tenuto anche il creditore titolare di credito assistito da ipoteca iscritta sui beni del fallito non debitore, che dunque figuri quale terzo datore di ipoteca.
      Sul punto va detto che la citata Cass., sez. I., 30/1/2019, n. 2657, la quale si era posta in una posizione di discontinuità rispetto ad un precedente consolidato orientamento (consolidatosi prima della riforma del 2006 e poi ribadito da Cass., sez. I, 9.2.2016, n. 2540, da Cass., sez. I, 20.11.2017, n. 27504 e poi da Cass., sez. I, 10.7.2018, n. 18082), è stata successivamente sconfessata da Cass., Sez. I, 14.5.2019, n. 12816 e da Cass. sez. I. 12.7.2019, n. 18970, le quali hanno ribadito la non necessità della previa insinuazione al passivo del titolare di diritti reali di garanzia sui beni del fallito, ma non creditori di costui, che voglia partecipare alla distribuzione del ricavato.
      Orbene, se - sulla scorta della giurisprudenza da ultimo affermatasi – l'accertamento del diritto di concorrere alla distribuzione del ricavato avviene, per il titolare di diritti di garanzia sui beni del fallito, in sede di riparto e non già di ammissione al passivo, il fatto che detto accertamento non sia stato ancora compiuto in sede fallimentare non può risolversi in danno del creditore fondiario; se infatti si dovesse attendere il momento del riparto la previsione di cui all'art. 41 tub (che ha sostanzialmente la funzione di assicurare al creditore fondiario un attribuzione sì provvisoria, ma anticipata rispetto ai tempi del riparto fallimentare) sarebbe svuotata di contenuto. Ergo, riteniamo che egli possa concorrere alla distribuzione del ricavato prescindendo sia dalla (non prevista) insinuazione al passivo che dall'approvazione del piano di riparto.
      Peraltro, ove si condivide la tesi (richiamata da cass. n. 2540 del 2016) secondo cui il titolare di diritti di garanzia concessi dal fallito non debitore per realizzare il suo credito deve avvalersi della procedura esecutiva di cui agli artt. 602 e ss c.p.c., si ha che la sede di accertamento del diritto di credito non diviene quella fallimentare, ma resta quella esecutiva.