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REVOCATORIA COMPENSI PERCEPITI DAGLI AMMINISTRATORI

  • Mattia Pedrini

    BOLOGNA
    05/05/2021 11:19

    REVOCATORIA COMPENSI PERCEPITI DAGLI AMMINISTRATORI

    Buongiorno,
    dalla contabilità della società fallita emerge che nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento, siano stati pagati (peraltro a mezzo prelievo di denaro contante, tant'è che i pagamenti transitano unicamente dal mastrino "cassa") compensi al Vicepresidente del C.d.A. per un importo di ca. 15.000 euro.
    Il titolo giustificativo di tali pagamenti è riscontrabile in una delibera assembleare (risalente al 2018), in cui si accordava il pagamento in favore di detto componente del C.d.A. di una cifra pari ad euro 21.000 annui, fino a revoca dalla carica ricoperta. Sotto il profilo fiscale e previdenziale, pur in assenza di un rapporto contrattuale di tale genere, la società fallita ha inquadrato detto rapporto come collaborazione coordinata e continuativa (cd. co.co.co.) e, pertanto, era "appoggiata" a un Consulente del Lavoro che, con periodicità mensile, elaborava i cedolini e trasmetteva i flussi uniemens.
    Prescindendo ora dall'illiceità della modalità di pagamento (che mi limiterò ad indicare nella rel. ex art. 33 L.F.) - posto che è pacifica la circostanza secondo cui i pagamenti delle retribuzioni, ivi incluse le somme corrisposte agli amministratori, sono annoverati tra quelli per cui esiste l'obbligo di tracciabilità - mi chiedevo se tali somme potessero rientrare nell'alveo dei pagamenti revocabili.
    Se, da un lato, non vi sono particolari problematiche a dimostrare la conoscibilità dello stato d'insolvenza in capo al percipiente (essendo amministratore) - come richiesto dall'art. 67, co. 2 L.F. - il dubbio principale sorge in relazione alla (probabile) esenzione da revocatoria, essendo che detti pagamenti potrebbero ricadere nell'ambito di quelli indicati all'art. 67, co. 3, lett. f) L.F., posto che - per come inquadrato - trattasi di rapporto di lavoro cd. "parasubordinato".
    Ad ogni buon conto, indagando sulla ratio del Legislatore nel prevedere le ipotesi di esenzione da revocatoria - sostanzialmente riconducibile sia a una forma di tutela nei confronti di soggetti cd. "deboli", sia ad evitare di pregiudicare la continuità aziendale alle prime avvisaglie di crisi - non pare, perlomeno allo scrivente, che il caso in questione possa esserne un esempio; questo inoltre, tantopiù, se - come da pacifica giurisprudenza - ai crediti degli amministratori non si riconosce neppure il privilegio ex art. 2751-bis c.c., viceversa spettante ai lavoratori e agli altri collaboratori della società fallita.
    In ogni caso, ritengo di poter procedere - perlomeno in tale fase - ad indirizzare all'amministratore una richiesta di restituzione di quanto percepito (volendo anche per definire transattivamente) e, solo laddove non avessi riscontro, ipotizzare una causa giudiziale.
    Ringrazio fin d'ora per la possibilità di confronto e per quanto saprete illustrarmi in base alla vostra esperienza.
    • Zucchetti SG

      Vicenza
      05/05/2021 19:40

      RE: REVOCATORIA COMPENSI PERCEPITI DAGLI AMMINISTRATORI

      Il suo dubbio è legittimo. La lett. f) del terzo comma dell'art. 67 l. fall. dispone che non sono soggetti all'azione revocatoria: "i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito". Come si vede, gli amministratore non sono menzionati in tale disposizione e come lei giustamente espone, valutando, da un lato, la ratio della norma e, dall'altro, il rapporto intercorrente tra amministratore e società, si può arrivare alla conferma che l'esenzione citata non opera per il pagamento dei compensi all'amministratore.
      Invero, lo scopo dell'esenzione è quello di dare protezione a soggetti socialmente deboli, come in genere vengono considerati i lavoratori dipendenti e figure affini; a sua volta il vincolo che lega l'amministratore alla società non rientra né nell'ambito del lavoro subordinato, né sotto lo schema del lavoro autonomo perché, per effetto dell'immedesimazione organica, viene a mancare quella pluralità di soggetto necessaria in ogni rapporto contrattuale. A conferma di tanto vi è la considerazione per la quale i crediti dell'amministratore di società non ricevono, ai fini del grado, lo stesso trattamento (vale a dire il privilegio) dei crediti elencati dall'art. 2751 bis c.c., come da lei sottolineato.
      Di recente la Cassazione (Cass. - 08/02/2021, n. 2906) ha stabilito che il pagamento di crediti chirografari dopo l'emersione dello stato di insolvenza della società (ovvero in una fase che avrebbe imposto al liquidatore di operare nel rispetto della par condicio creditorum e dei privilegi riconosciuti per legge), seppur non revocabile ai sensi dell'articolo 67 l. fall., deve ritenersi in contrasto con gli obblighi imposti ai liquidatori dall'articolo 2489 cod. civ., in quanto idoneo a cagionare un danno alla massa dei creditori e quindi restituibile sotto il profilo della responsabilità. Con questa decisione la Corte non ha optato per la non revocabilità dei compensi versati (nel caso al liquidatore, ma il discorso vale parimenti per l'amministratore), ma ha preso atto della situazione in cui il curatore aveva preferito promuovere azione di responsabilità ed ha giustificato che anche se, in ipotesi, il compenso al liquidatore, non fosse revocabile, sarebbe comunque restituibile.
      Zucchetti SG srl