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Pignorabilità immobili diversi da quelli oggetto di ipoteca

  • Luana Piazzetta

    12/06/2018 09:49

    Pignorabilità immobili diversi da quelli oggetto di ipoteca

    In una procedura esecutiva il creditore pignora, in danno del debitore, l'intera flotta di automezzi (si tratta di una società di trasporti). Il debitore invoca il limite stabilito dall'art. 2911 c.c. in quanto il creditore ha ipoteca su alcuni immobili.
    La previsione di cui all'art. 2911 a proposito della pignorabilità dei immobili diversi da quelli oggetto di ipoteca riguarda anche i beni mobili registrati? L'opposizione con cui si deduca detta impignorabilità va qualificato come opposizione all'esecuzione o come opposizione agli atti esecutivi?
    • Zucchetti SG

      12/06/2018 11:59

      RE: Pignorabilità immobili diversi da quelli oggetto di ipoteca

      Nel rispondere alla domanda occorre ricordare che secondo la giurisprudenza della Corte cassazione "l'art. 2911 c.c., mentre vieta al creditore pignoratizio di assoggettare ad esecuzione tutti i beni, mobili od immobili, del debitore, diversi da quelli gravati da pegno, fa invece divieto al creditore ipotecario soltanto di pignorare i beni immobili del debitore, diversi da quelli gravati da ipoteca, e così gli consente di pignorare qualsiasi bene mobile del debitore stesso, e, quindi, di intervenire nell'esecuzione mobiliare promossa da altro creditore, per il favore con cui è considerata l'esecuzione mobiliare, per la maggiore semplicità, speditezza ed economia (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1294 del 14/03/1978).
      L'assunto è stato condiviso anche in successivi arresti, nei quali si è ribadito che "la norma dell'art. 2911 cod. civ., pone, per il creditore ipotecario, il divieto di sottoporre a pignoramento i beni immobili non ipotecati, ma non introduce anche il divieto di pignorare i beni mobili del debitore (Cass., n. 1294/1978). La ratio, quale innanzi indicata, della disposizione dell'art. 2911 cod. civ., di tutela contemporanea dei creditori chirografari e del debitore esecutato, si realizza, pertanto, solo nell'ambito dell'espropriazione immobiliare, poiché, ove il creditore ipotecario proceda, invece, alla sola espropriazione mobiliare, prevale la diversa giustificazione del favor che la legge accorda all'esecuzione mobiliare, per le sue caratteristiche di semplicità, speditezza ed economia"(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 702 del 16/01/2006), e recentemente confermato da Cass. Sez. 3, Sentenza 29/05/2015, n. 11177, che ha ritenuto legittimo il pignoramento mobiliare di preziosi non gravati da pegno eseguito da un creditore ipotecario.
      In questo senso si esprime anche la giurisprudenza di merito, nella quale si legge che "Le disposizioni contenute nell'art. 2911 c.c. tendono a consentire la realizzazione della soddisfazione dei creditori il cui il credito sia assistito da cause di prelazione in primo luogo sui beni che ne costituiscono l'oggetto, introducendo un regime di impignorabilità relativa dei beni non gravati dal diritto reale di garanzia. Ciò significa che ai creditori titolari di causa di prelazione non è precluso di soddisfarsi su beni diversi da quelli gravati da ipoteca o da pegno ma che la condizione per poter agire su tali beni è che l'azione esecutiva sia in corso anche su quelli che rendono operante la causa di prelazione. Il regime di impignorabilità opera però in modo differente a seconda che riguardi i beni ipotecati ovvero sottoposti a pegno. Nel primo caso, si ritiene che, sebbene il creditore ipotecario non possa procedere al pignoramento di immobili non ipotecati, qualora l'azione esecutiva non sia stata esercitata anche sui beni ipotecati, nessun limite incontri quanto alla promozione dell'espropriazione mobiliare. Al contrario, il creditore garantito da pegno non può esercitare alcuna azione esecutiva se non abbia pignorato anche i beni che costituiscono oggetto del pegno (Trib. Tempio Pausania, 25-09-2012).
      Neppure può dirsi che l'azione esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore ed avente ad oggetto beni mobili registrati costituisca un esercizio di abuso dello strumento processuale.
      In base al principio della responsabilità patrimoniale sancito dall'art. 2740 c.c. il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Il creditore, dunque, per realizzare la soddisfazione di un credito fondato su titolo esecutivo può espropriare a sua scelta ogni bene del debitore instaurando un solo processo di espropriazione forzata su più poste patrimoniali omogenee (immobili, mobili o crediti), o anche avviando diversi processi espropriativi sottoponendo a pignoramento beni dello stesso tipo o di natura diversa (realizzando così un "cumulo" dei mezzi di espropriazione).
      L'esercizio della azione esecutiva, tuttavia, non può essere consentito senza alcun limite poiché l'esigenza di garantire al creditore la possibilità di far valere il suo diritto nel modo più celere ed efficace deve essere contemperata con quella di evitare al debitore di subire un pregiudizio ingiustificato.
      Il legislatore si è fatto carico di trovare un punto di equilibrio tra la posizione del creditore e quella dell'obbligato ed in questa ottica ha apprestato una serie di strumenti che sono funzionali a regolare le modalità di esercizio dell'azione esecutiva e ad evitare l'eccesso nell'uso della espropriazione forzata: l'art. 483 prevede la possibilità di limitare la espropriazione intrapresa in più forme ad una sola delle modalità utilizzate, l'art. 496 consente di concentrare l'unico processo espropriativo pendente su uno o alcuni dei beni pignorati liberando gli altri, l'art. 504 contempla la sospensione delle vendite nel caso in cui si sia già realizzato un prezzo che "raggiunge" l'importo delle spese e dei crediti.
      Nella stessa direzione si muove l'art. 588 c.p.c. ed il richiamato art. 2911 c.c..
      Il panorama normativo appena richiamato impone all'interprete di chiedersi se il pignoramento (o i pignoramenti) eseguiti in danno di uno stesso debitore siano o meno legittimi ove eseguiti in relazione a beni il cui valore ecceda quello del credito fatto valere.
      Sul punto, a fronte di un panorama dottrinario più eterogeneo l'idea che si è venuta progressivamente affermando in giurisprudenza, è quella secondo cui l'azione esecutiva può essere esercitata senza limiti e fatta salva la possibilità di ottenere dal giudice un provvedimento di limitazione o di riduzione ai sensi dell'art. 483, 1° co., 2ª parte, c.p.c. o dell'art. 496 c.p.c. .
      Segnatamente, si è osservato che il rapporto tra ammontare dei beni pignorati e necessità del processo esecutivo non può essere aprioristicamente determinato, dal momento che, nel corso del processo, sono consentiti gli interventi dei creditori i quali, se privilegiati, concorrono sul ricavato conservando la loro prelazione e, se chirografari, concorrono a parità degli altri, ove spieghino rituale e tempestivo intervento. Pertanto, il creditore pignorante è legittimato ad espropriare più di quanto sarebbe necessario per soddisfare il suo credito e il giudice cui sia richiesta la riduzione del pignoramento deve tener conto di questa eventualità nell'esercizio del potere discrezionale di cui all'art. 496 cod. proc. civ., senza che possa ritenersi sussistente l'illegittimità del procedimento per il solo fatto del pignoramento di beni immobili in eccesso. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3952 del 22/02/2006. Nella specie, il debitore aveva subito due pignoramenti di beni rispettivamente per 540 milioni di lire e in altra circoscrizione per un miliardo e quattrocento milioni di lire, in relazione a un'ingiunzione di circa 12 milioni di lire; la sentenza di merito aveva respinto l' opposizione all'esecuzione, rilevando che sui beni del debitore gravavano ipoteche, iscritte da tre banche, per importi superiori al miliardo di lire. La Suprema Corte, nel confermare la sentenza impugnata, ha precisato che la qualificazione dell'opposizione come opposizione all'esecuzione non era stata oggetto di contestazione e che la sentenza di merito non poteva tener conto dei beni pignorati in altra circoscrizione, attesa la formale autonomia delle due procedure).
      A favore di questa conclusione militano del resto argomenti di tipo pratico. Ingessare il creditore nell'esercizio dell'azione esecutiva ad un rigoroso rispetto di parametri di valore a pena di nullità del pignoramento vorrebbe dire esporlo al rischio di portare avanti un processo esecutivo non idoneo a soddisfarlo in considerazione del possibile intervento di terzi creditori e della imprevedibilità dei risultati della vendita forzata (che potrebbe essere, in tutto o in parte, infruttuosa), sebbene la Corte di Cassazione abbia affermato che in presenza di un eccesso nell'impiego del mezzo esecutivo connotato da dolo o colpa grave, è giustificata non solo l'esclusione dall'esecuzione dei beni sottopostivi in eccesso, ma anche la condanna del creditore procedente per responsabilità processuale aggravata, la quale può essere pronunciata dallo stesso giudice con il provvedimento che, riguardo ai beni liberati dal pignoramento, chiude il processo esecutivo.
      Ciò premesso, e venendo alla domanda profili di legittimità dell'azione esecutiva potrebbero affacciarsi solo ove si potesse dire che ove il creditore ipotecario avesse sottoposto ad esecuzione i beni immobili sui quali insiste la sua garanzia ipotecaria avrebbe trovato piena soddisfazione del suo credito.
      Infine, ricordiamo che "L'opposizione con cui il debitore faccia valere la disposizione di cui all'art. 2911 cod. civ., per la mancata esecuzione su beni costituiti in pegno da un terzo, deve qualificarsi come opposizione agli atti esecutivi, in quanto con essa non viene denunciato un limite legale all'esecuzione; infatti, l'art. 2911 cod. civ. non si applica al caso in cui il pegno sia costituito da un terzo, sicché l'esecuzione non incontra il limite della necessaria sottoposizione a pignoramento dei beni gravati da pegno. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1033 del 17/01/2007).