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Procedente inattivo

  • Francesco Bruni

    San Benedetto del Tronto (AP)
    07/01/2021 22:20

    Procedente inattivo

    Il GE nell'ordinanza scrive:"….il Delegato riceverà a tal fine un fondo spese a carico del procedente o, in caso di rinuncia di quest'ultimo, a carico del creditore intervenuto interessato….."
    In base a ciò le mie convinzioni sono:
    1) Per Creditore intervenuto, che può divenire procedente in sostituzione, si deve intendere quello munito di titolo esecutivo.
    2)Per rinuncia non si deve intendere la sola rinuncia esplicita (ad esempio con richiesta scritta o oralmente durante un'udienza) ma anche quando c'è inerzia da parte del procedente.
    3)Il Delegato non è obbligato a sollecitare il procedente inerte.
    4)Il Delegato non deve sollecitare gli altri creditori intervenuti con titolo esecutivo( quindi andare a scartabellare nel fascicolo in cerca del credito giusto per sostituire l'inerte e inviare lettere per eventuali adesioni) ma attendere il versamento del fondo spese da parte di un eventuale nuovo procedente e poi controllare se è intervenuto nei termini e se è in possesso del titolo esecutivo.
    Quale delle quattro ipotesi è errata?
    Grazie per l'eventuale risposta.
    • Zucchetti SG

      09/01/2021 08:08

      RE: Procedente inattivo

      Le ipotesi formulate sono, a nostro avviso, parzialmente corrette.
      Cominciando da quella che proprio non ci convince: il delegato che voglia diligentemente adempiere al proprio compito non può assolutamente rimanere inerte rispetto al mancato versamento del fondo spese. La sollecitudine con la quale egli deve esercitare la delega ricevuto implica anche un dovere di sollecito alle parti, sollecito che le regole di buona fede (intesa in senso oggettivo, quale regola di condotta) impongono.
      Si ricordi che costituiscono principi generale dell'ordinamento quelli secondo cui le obbligazioni debbono essere adempiute secondo buona fede (art. 1375 c.c.) e con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.).
      La buona fede rappresenta uno dei principi portanti dell'ordinamento, principio qualificato in dottrina come principio di ordine pubblico.
      Nell'adempimento delle obbligazioni (di tutte le obbligazioni, indipendentemente dalla fonte legale o negoziale delle stesse) la buona fede si impone quale obbligo di salvaguardia, prescrivendo alle parti di agire in modo da preservare integri gli interessi dell'altra. Questo impegno di solidarietà, che si proietta al di là di quanto specificatamente previsto nel contratto (o nella legge), trova un limite nell'interesse del soggetto che è chiamato ad adempiere. Questi, cioè, è tenuto a far salvo l'interesse altrui ma non fino al punto di subire un apprezzabile sacrificio, personale o economico.
      In questi termini si è detto che la buona fede identifica l'obbligo di ciascuna parte di salvaguardare l'utilità dell'altra nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio.
      La stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha fatto propri questi concetti, affermando ad esempio che "L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso) nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio" (Cass. Sez. 3, n. 3462 del 15/02/2007).
      Ed allora a nostro avviso il delegato ha il preciso divere di sollecitare i creditori a provvedere, accertando a versamento eseguito se quel creditore era legittimato o meno a dare impulso alla procedura.