Forum ESECUZIONI - PROGETTO DI DISTRIBUZIONE

piano di riparto nel giudizio di divisione

  • Silvia Bondi

    Arezzo
    28/01/2021 10:41

    piano di riparto nel giudizio di divisione

    Sono un professionista delegato alla vendita nominato in un giudizio di divisione, l'immobile pignorato è cointestato tra i due coniugi al 50% ed è stato venduto per l'intero. Il debitore esecutato è soltanto uno dei due coniugi e l'altro non ha creditori. Devo predisporre il piano di riparto, quale somma devo assegnare al coniuge non esecutato? La metà dell'importo ricavato dalla vendita al lordo di qualsiasi costo? I costi per la registrazione, la trascrizione e tutte le altre spese devono essere detratti dalla sola metà del debitore esecutato?
    • Zucchetti SG

      02/02/2021 07:12

      RE: piano di riparto nel giudizio di divisione

      Per rispondere alla domanda dovremmo sapere se il cespite oggetto del pignoramento fa parte della comunione legale tra i coniugi o se invece è stato semplicemente acquistato dagli stessi in comproprietà.
      Partiremo da quest'ultima ipotesi in quanto ci sembra quella più rispondente al tenore della domanda in ragione del fatto che si fa riferimento ad un giudizio di divisione e si afferma che i coniugi sono comproprietari in ragione del 50% ciascuno.
      Se così fosse, varranno le ordinarie regole dello scioglimento della comunione, in forza delle quali le relative spese gravano sui condividenti in proporzione alle rispettive quote di comproprietà (nel caso di specie 50% ciascuno). Quindi, al coniuge non esecutato andrà il 50% del ricavato dalla vendita, al netto delle spese del giudizio di divisione.
      In questi termini si esprime la giurisprudenza, la quale ha affermato che " Nei procedimenti di divisione giudiziale, le spese occorrenti allo scioglimento della comunione vanno poste a carico della massa, in quanto effettuate nel comune interesse dei condividenti, trovando, invece, applicazione il principio della soccombenza e la facoltà di disporre la compensazione soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite ad eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione" (Cass., sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22903).
      Se invece fosse stato venduto un bene della comunione legale, per rispondere alla domanda occorre una preliminare ricostruzione degli approdi cui è giunta la Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 6575 del 14 marzo 2013. Si tratta della pronuncia che per la prima volta è intervenuta ex professo sulla questione della disciplina cui soggiace il pignoramento dei beni della comunione legale tra i coniugi eseguito dal creditore particolare di uno di essi.
      La Corte muove, facendola propria, dalla premessa giurisprudenziale assolutamente prevalente secondo cui la comunione dei beni nascente dal matrimonio è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, trattandosi di comunione finalizzata, a differenza della comunione ordinaria, non già alla tutela della proprietà individuale, ma piuttosto a quella della famiglia. Ricorda la Corte che detta comunione può sciogliersi nei soli casi previsti dalla legge ed è indisponibile da parte dei singoli coniugi i quali, tra l'altro, non possono scegliere quali beni farvi rientrare e quali no, ma solo mutare integralmente il regime patrimoniale con atti opponibili ai terzi mediante l'annotazione formale a margine dell'atto di matrimonio. La quota dunque non è un elemento strutturale della proprietà e nei rapporti coi terzi ciascuno dei coniugi, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune.
      Sulla scorta di questi postulati i giudici di legittimità escludono che al pignoramento dei beni della comunione sia applicabile la disciplina dell'espropriazione di quote, ed osservano che l'opzione ricostruttiva più coerente con siffatte premesse, e dalle conseguenze meno incongruenti, sia necessariamente quella di sottoporre, per il credito personale verso uno solo dei coniugi, il bene a pignoramento per l'intero (e sull'intero bene esso dovrà trascriversi), nei limiti dei diritti nascenti dalla comunione legale.
      Da tanto consegue, prosegue la sentenza, la messa in vendita o l'assegnazione del bene per intero, con diritto del coniuge non debitore ad ottenere il controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva, neppure potendo a lui farsi carico delle spese di trasformazione in denaro del bene (cioè quelle della procedura medesima), rese necessarie per il solo fatto del coniuge debitore che non ha adempiuto i suoi debiti personali.
      In questa procedura esecutiva il coniuge non debitore assume la veste di soggetto passivo del giudizio in executivis: tale sua condizione imporrà la notificazione anche al coniuge non debitore del pignoramento, come pure l'applicazione al medesimo dell'art. 498 e dell'art. 567 c.p.c., vale a dire la necessità dell'avviso ai suoi creditori iscritti personali e della documentazione c.d. ipotecaria almeno ventennale a lui relativa, al fine di non pregiudicare diritti di terzi validamente costituiti anche da lui sul medesimo bene.
      Dall'indirizzo espresso della surrichiamata pronuncia, si ricavano le seguenti enunciazioni procedurali:
      • Il bene facente parte della comunione legale dei beni dovrà essere pignorato per l'intero anche quando ad agire è il creditore particolare del coniuge.
      • Il pignoramento deve essere notificato anche al coniuge non debitore poiché costui assume la posizione di parte processuale pur non essendo personalmente obbligato.
      • La documentazione ipocatastale depositata ai sensi dell'art. 567 dovrà riguardare entrambi i coniugi al fine di verificare se anche il coniuge non debitore abbia posto in essere atti dispositivi del bene pignorato.
      • Dovrà essere notificato l'avviso di cui all'art. 498 c.p.c. anche ai creditori particolari del coniuge non obbligato.
      • Occorrerà verificare che nella perizia di stima sia dato conto anche dei gravami (ipoteche, pignoramenti, domande giudiziali ecc. trascritte contro il coniuge del debitore).
      • Con il decreto di trasferimento dovranno essere cancellate anche le ipoteche eventualmente iscritte contro il coniuge non obbligato.
      • Il 50% del ricavato dalla vendita dovrà essere corrisposto al coniuge non obbligato senza portare in prededuzione le spese della procedura, che dunque graveranno integralmente sul restante 50%.
      • Per concorrere alla distribuzione del ricavato il coniuge non obbligato non è onerato dalla necessità di spiegare un intervento, trovando applicazione l'art. 510, ultimo comma, c.p.c., che come sappiamo riconosce al debitore quanto sopravanza dalla distribuzione del ricavato.
    • Alessia Vismarra

      Cremona
      30/06/2021 16:37

      RE: delega nel giudizio di divisione

      Buongiorno,
      sono un professionista delegato alla vendita nominato con ordinanza in un giudizio di divisione ed è pendente nei confronti di un comproprietario una procedura esecutiva immobiliare attualmente sospesa in pendenza del giudizio di divisione.
      Vi chiedo il fondo spese per la vendita da parte del creditore procedente andrà intestato all'RG della causa di divisione?
      • Zucchetti SG

        01/07/2021 07:24

        RE: RE: delega nel giudizio di divisione

        La così detta "divisione endoesecutiva" è l'epilogo "obbligato" dell'udienza di comparizione delle parti quando sia stata verificata l'impossibilità giuridico economica di procedere alla separazione della quota o di venderla ad un prezzo almeno pari al valore di stima, nonché l'indisponibilità degli altri quotisti a liquidare l'esecutato.
        Attraverso questo giudizio si procede allo scioglimento della comunione, similmente a quanto accadrebbe in un ordinario giudizio divisorio, con attribuzione all'esecutato di una porzione del ricavato dalla vendita di valore uguale al valore della quota di proprietà di cui era titolare, e sulla quale è stato trascritto il pignoramento.
        La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nel ritenere che la divisione endoesecutiva sia una parentesi di cognizione nell'ambito del procedimento esecutivo, autonoma e distinta da questo, sì da non poterne essere considerata una continuazione o una fase (cfr., Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072; Cass., Sez. III, 20 agosto 2018, n. 20817; Sez. U, 7 ottobre 2019, n. 20521). Ne costituisce la prova provata il fatto che durante lo scioglimento della comunione, l'esecuzione è sospesa, ai sensi dell'art. 601, comma primo, c.p.c..
        Tuttavia, tra i due giudizi esiste uno strettissimo collegamento funzionale, tale per cui si ammette, ad esempio che possa essere presentata istanza di conversione del pignoramento, o che il giudizio si estingua, per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, quando il titolo esecutivo del creditore procedente sia venuto meno, sempre che le altre parti del giudizio non chiedano che si prosegua comunque (Cass. n. 6072/2012, cit.). Questa stretta connessione ha fatto anche ritenere alla giurisprudenza che "la notifica dell'ordinanza che dispone il giudizio di divisione è legittimamente eseguita al procuratore di uno dei litisconsorti che si sia già costituito nell'esecuzione forzata, in quanto il relativo mandato, in mancanza di un'espressa limitazione dei poteri del difensore, deve presumersi conferito anche ai fini dell'espletamento della difesa della parte nel corso del giudizio di cognizione divisionale che costituisce normale epilogo dell'espropriazione"(Cass. n. 20817/2018, cit.).
        Nel giudizio di divisione endoesecutiva potrà procedersi:
        ad una divisione in natura, totale o parziale;
        alla vendita dell'intero;
        all'assegnazione della quota pignorata o dell'intero ad uno o più comunisti.
        Concluso, il giudizio di divisione endoesecutiva, l'esecuzione forzata deve essere riassunta ex art. 627 c.p.c. nel termine perentorio fissato dal giudice della divisione.
        Così riassunto il panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento, riteniamo che le spese della divisione endoesecutiva debbano essere versato sul conto corrente intestato non già alla (sospesa) procedura esecutiva, ma su quello del giudizio di divisione.
    • Zucchetti SG

      28/03/2022 09:54

      RE: piano di riparto nel giudizio di divisione

      La risposta alla ulteriore richiesta di precisazioni costituisce, a nostro avviso, un precipitato dell'affermazione per cui l'atto dispositivo (in questo caso il conferimento) avvenuto dopo il pignoramento è inopponibile alla procedura.
      Se così è, poiché il trasferimento avvenuto è tam quam non esset, occorrerà attuare il trasferimento prescindendo da quanto avvenuto successivamente al pignoramento.
      Certamente resta l'interrogativo relativo alla cessazione della partita IVA, e per rispondere ad esso riteniamo necessario partire dalla lettura dell'art. 35 del d.P.R. 633/1972 (testo unico IVA).
      In particolare, il comma 3 della previsione dispone che in caso di variazione di cessazione dell'attività, il contribuente entro trenta deve giorni farne dichiarazione all'Agenzia delle Entrate utilizzando modelli conformi a quelli approvati con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, aggiungendo al comma 4 che per le operazioni relative alla liquidazione dell'azienda, rimangono ferme le disposizioni relative al versamento dell'imposta, alla fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione e che (comma 8) i soggetti tenuti all'iscrizione presso il registro delle imprese possono fare la comunicazione di cessazione al medesimo registro delle imprese, il quale comunica la cessazione all'Agenzia delle entrate.
      Se dunque, nonostante la liquidazione di cespiti aziendali in corso (e la liquidazione è certamente in corso poiché è ancora pendente la vendita del cespite sottoposto ad esecuzione) l'esecutato ha provveduto a dichiarare la cessazione dell'attività presso il competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate, il citato art. 35 è stato violato.
      Venendo alla posizione del delegato, ed in assenza di una norma, come l'art. 74-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che nel fallimento stabilisce che gli adempimenti in materia di imposta sul valore aggiunto costituiscono un obbligo del curatore fallimentare, l'agenzia delle entrate è intervenuta con la risoluzione 16 maggio 2006 n. 62/E, ribadita con la risoluzione n. 102/E del 21 aprile 2009.
      La scelta di fondo seguita dall'Agenzia è stata quella di ritenere che obbligato ad emettere fattura in nome e per conto del contribuente e a versare l'IVA sia il professionista delegato delle operazioni di vendita.
      L'Agenzia delle Entrate sottolinea come, se da un lato il custode giudiziario non assume la titolarità del bene oggetto di espropriazione forzata, che va riconosciuta pur sempre in capo al debitore, quest'ultima non si delinea come una titolarità piena nel suo esercizio, in quanto priva del potere dispositivo sul bene. Ne consegue che anche la soggettività passiva d'imposta del debitore esecutato deve ritenersi in parte "limitata" sotto il profilo dei concreti adempimenti che ne discendono, in particolare con riguardo agli obblighi di fatturazione e versamento del tributo. La procedura espropriativa del resto rappresenta un momento patologico nella circolazione del bene immobile, cosicché anche sotto il profilo della tutela degli interessi dell'erario, gli obblighi di fatturazione e versamento del tributo, non solo nell'ipotesi di irreperibilità del contribuente ma, in ogni caso, devono ritenersi accentrati nella procedura stessa.
      Quanto affermato dalla risoluzione n. 158/E costituisce esplicazione di un orientamento già espresso in termini più generali dalla circolare n. 6 del 17 gennaio 1974, e dalla successiva risoluzione del 13 agosto 1974, in cui con riferimento alla figura dell'incaricato della vendita (commissionario, cancelliere, ufficiale giudiziario, istituto vendite giudiziarie) si era sottolineato come quest'ultimo ha l'obbligo di emettere la fattura con l'addebito della relativa IVA, precisandosi che l'IVA riscossa deve essere versata in tutti i casi in cui non sia possibile girare l'importo all'impresa esecutata, come ad esempio nel caso di irreperibilità di quest'ultima.
      È evidente che rispetto a questi precedenti la novità dell'intervento ultimo dell'Agenzia si incentra sulla ritenuta natura "limitata" della soggettività passiva d'imposta del debitore esecutato, dalla quale l'Agenzia fa discendere la generalizzazione della soluzione secondo cui gli obblighi di fatturazione e versamento gravano sul professionista delegato in tutti i casi, e non solo nelle ipotesi di irreperibilità dell'esecutato.
      Come detto in uno dei precedenti post di questa discussione, la posizione dell'Agenzia delle Entrate appena illustrata è radicalmente diversa da quella contenuta nella circolare del Ministero della Giustizia (Direzione generale della giustizia civile, Ufficio I) n. 44/2006 del 5 dicembre 2006, ma è quella che negli uffici giudiziari prevale.
      Dunque, in base a questo orientamento, il professionista delegato dovrebbe richiedere all'Agenzia delle Entrate la riapertura della partita IVA, previa autorizzazione del ge e con costi a carico della procedura, e procedere ai relativi adempimenti.
      La questione è tuttavia peculiare e sarebbe utile una interlocuzione formale (tramite interpello) con l'Agenzia delle Entrate.
      • Raffaele Ambrosio

        Roma
        03/02/2023 12:31

        RE: RE: piano di riparto nel giudizio di divisione

        Buongiorno desideravo intervenire in quanto mi è stato chiesto dal Giudice del giudizio endoesecutivo di predisporre la bozza del decreto di trasferimento e la bozza del riparto divisionale .
        Si tratta di un immobile in comunione legale tra moglie ( 2/3) e marito ( 1/3) .
        Interviene una separazione giudiziale.
        La casa viene assegnata alla moglie . Il marito non paga gli alimenti .
        La moglie notifica pignoramento per € 80.000 , Successivamente interviene nella procedura con un intervento da € 30.000, un secondo intervento viene spiegato nei confronti dell'esecutato da una terzo per € 90.000 .
        L'immobile vine valutato € 180.000 . Nel processo endoesecutivo il giudice assegna alla moglie la quota pari ad 1/3 al prezzo di € 60.000 pagate e versate sul c.c della procedura endoesecutiva .
        Predispongo la bozza del decreto di trasferimento ma ho qualche dubbio sulla bozza del riparto divisionale
        Come va fatta ? Grazie
        • Zucchetti SG

          06/02/2023 09:08

          RE: RE: RE: piano di riparto nel giudizio di divisione

          È noto che l'art. 599 c.p.c. consente l'espropriazione forzata e la vendita di beni mobili e immobili appartenenti pro quota al debitore.
          Quando si parla di espropriazione della quota si fa riferimento alla parte ideale di comproprietà o contitolarità del partecipe, sicché il pignoramento colpisce non già una parte del bene, ma tutto il bene, pro quota.
          Nel pignoramento di quota il vincolo colpisce la sola quota del debitore, ed i comproprietari subiscono effetti riflessi dalla espropriazione: il divieto di lasciar separare dal debitore la sua parte delle cose comuni (art. 599, comma secondo, c.p.c.); l'onere di chiamare a partecipare alla divisione i creditori iscritti e gli opponenti (art. 1113 c.c.); l'eventuale vendita forzata dell'intero bene in comunione o la sua assegnazione ad un quotista richiedente (art. 720 c.c.).
          Il pignoramento di quota può imboccare tre diverse strade: la separazione della quota in natura; la vendita forzata della quota indivisa; l'assegnazione di un termine per introdurre il giudizio divisorio incidentale.
          Con la separazione della quota in natura una porzione materiale del bene indiviso, corrispondente per valore alla quota pignorata, viene trasferita all'esecutato in proprietà esclusiva, destinandola così alla vendita forzata. In questo modo la parte residuale del bene, liberata dalle iscrizioni ipotecarie trascritte contro l'esecutato e dal pignoramento, rimane in capo agli altri comproprietari, e l'esecuzione prosegue nelle forme ordinarie sulla porzione separata. Dalla lettera dell'art. 600 c.p.c. emerge chiaramente il fatto che la separazione della quota sia l'opzione preferita dal legislatore (Cass., sez. III, 17 maggio 2005, n. 10334).
          La vendita della quota indivisa viene invece concepita dal legislatore come una vera e propria "ultima spiaggia". La lettura dell'art. 600, comma secondo, c.p.c. non la scia dubbi in proposito, prevedendosi che si possa ricorrere ad essa solo se il giudice ritiene che la quota si venderà ad un prezzo pari o superiore al suo valore venale, stimato dall'esperto nominato.
          La così detta "divisione endoesecutiva" è l'epilogo "obbligato" dell'udienza di comparizione delle parti quando sia stata verificata l'impossibilità giuridico economica di procedere alla separazione della quota o di venderla ad un prezzo almeno pari al valore di stima, nonché l'indisponibilità degli altri quotisti a liquidare l'esecutato.
          Attraverso questo giudizio si procede allo scioglimento della comunione, similmente a quanto accadrebbe in un ordinario giudizio divisorio, con attribuzione all'esecutato di una porzione del ricavato dalla vendita di valore uguale al valore della quota di proprietà di cui era titolare, e sulla quale è stato trascritto il pignoramento.
          Nell'ambito del giudizio di divisione uno o più comproprietari possono chiedere l'assegnazione del bene ai sensi dall'art. 720 c.c.. Quello contemplato dall'art. 720 c.c. è un vero e proprio diritto potestativo del comproprietario, rispetto al quale le altre parti del giudizio versano in una condizione di mera soggezione, tale per cui, disposta la vendita dell'intero, questa andrebbe revocata ove vi fosse domanda di assegnazione di uno dei comproprietari (Cass., sez. II, 14 maggio 2008, n. 12119).
          Orbene, da quanto ci è dato comprendere, nel giudizio di divisione endoesecutiva la creditrice, nonché comproprietaria, ha esercitato proprio il diritto potestativo di cui all'art. 720 c.c., appena citato, versando
          Conseguenzialmente ha versato alla procedura l'importo corrispondente alla quota pignorata.
          Venendo alla distribuzione delle somme affluite alla procedura, dovrà procedersi nei termini che seguono.
          In primo luogo dovrà tenersi conto delle spese della divisione, che gravano sulla massa. In questi termini si esprime la giurisprudenza, la quale ha affermato che " Nei procedimenti di divisione giudiziale, le spese occorrenti allo scioglimento della comunione vanno poste a carico della massa, in quanto effettuate nel comune interesse dei condividenti, trovando, invece, applicazione il principio della soccombenza e la facoltà di disporre la compensazione soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite ad eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione" (Cass., sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22903).
          Questo ragionamento vale quale criterio di riparto tra i comproprietari.
          Al contrario, invece, la disciplina dei rapporti tra creditore procedente ed esecutato sarà assoggettata alle regole generali, ed in particolare al principio di cui all'art. 95 c.p.c., per cui il creditore ha diritto di ottenere il rimborso delle spese sostenute per il giudizio di divisione prelevandole dalla quota parte devoluta in favore dell'esecutato. Ciò in quanto il creditore procedente non è un condividente, e pertanto ha diritto al rimborso delle spese sostenute nell'interesse comune della comunione e del ceto creditorio.
          Esemplificativamente, graveranno sulla massa le spese di una eventuale consulenza tecnica di ufficio, svolta nel giudizio divisorio (Cass., 13 maggio 2015, n. 9813), le spese di pubblicità della vendita, gli oneri del delegato ecc. Al contrario, si ritiene debbano essere imputate alla quota dovuta all'esecutato le spese relative alla cancellazione delle ipoteche e dei pignoramenti gravanti sulla quota dell'esecutato (Cass., sez. I, 25 luglio 2002, n. 10909).
          Quindi, in sede di divisione, dal ricavato verranno sottratti i costi del giudizio, ponendoli a carico della massa (con imputazione proporzionale a ciascun comproprietario), per poi assegnare alla procedura esecutiva il ricavato dalla vendita che spetterebbe all'esecutato, ed agli altri condividenti una quota di ricavato corrispondente alla quota di comproprietà. Il giudice dell'esecuzione, poi, liquiderà le spese ed i compensi della procedura esecutiva, procedendo ad un nuovo riparto.
          Nel caso di specie, poiché il comproprietario creditorie ha versato un importo corrispondente al valore della sola quota pignorata, soddisfatte le spese di divisione tutto il ricavato dovrà essere versato alla procedura esecutiva, dove dovrà essere eseguito un nuovo riparto, secondo le regole generali, con l'avvertenza che al creditore, essendo anche comproprietario, non potrà essere rimborsato il 50% delle spese della divisione, cui avrebbe diritto se fosse stato solo creditore procedente, perché esse sono anche a suo carico, essendo egli, per l'appunto, comproprietario.