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Esecuzioni immobiliari - morosità conduttore

  • Lorenzo Ricciuti

    Chieti
    28/05/2024 09:43

    Esecuzioni immobiliari - morosità conduttore

    Buongiorno,
    nel contesto di una procedura esecutiva immobiliare di un importante compendio lo stesso era ed è occupato da una società conduttrice con contratto di locazione opponibile alla procedura.
    La procedura nell'ultimo biennio ha avuto il suo sviluppo e si è riusciti ad addivenire alla vendita del compendio pignorato.

    Medio tempore la locazione ha consentito di acquisire sotto forma di canoni i frutti del compendio per somme rilevanti.
    Il conduttore, seppure con qualche lieve ritardo ha sempre versato il canone al custode mediante rimessa bancaria sul c/c intestato alla procedura.

    Negli ultimi mesi, in particolare nel periodo intercorrente tra l'aggiudicazione e l'emissione del decreto di trasferimento, il conduttore ha rallentato i pagamenti, ma al deposito della minuta del Decreto di trasferimento era moroso nei confronti della procedura esecutiva per una sola mensilità per una somma di poco superiore ai 5.000,00 €.

    In sede di emissione del Decreto di trasferimento si è ritenuto che tale morosità non fosse di importanza tale da determinare la liberazione dell'immobile considerato che l'aggiudicatario aveva avuto piena contezza che il compendio fosse occupato con contratto opponibile, che non vi fosse interesse della procedura alla liberazione e che la prosecuzione del rapporto contrattuale fosse interesse dello stesso aggiudicatario vista l'entità del canone annuo che sino a quel momento il conduttore aveva sempre provveduto a versare.

    Ad oggi volge al termine la fase di trasferimento e di cancellazione dei gravami, la fase di distribuzione sarà invece impattata dalla mancata acquisizione dell'ultimo canone.

    Salvo che i creditori non effettuino espressa rinuncia che consenta così una distribuzione integrale, il delegato alle vendite, a parere di chi scrive, dovrebbe/potrebbe procedere solo ad una distribuzione parziale nella misura massima di legge del 90%.
    Ciò determinerebbe, oltre che la mancata distribuzione del restante 10% o più, l'attivazione del custode per il recupero di detto canone con relativi costi ed evidente dilatamento dei tempi della procedura.

    Ciò premesso si sottopone il presente caso per avere parere su:
    1) Se nel silenzio della delega il Custode può direttamente proporre azioni nei confronti del conduttore moroso (per munirsi di titolo da porre poi eventualmente in esecuzione) o se necessita di autorizzazione da parte del GE;
    2) Se il Custode può eventualmente richiedere al GE che venga nominato un collega per procedere a detto recupero;
    3) Tenuto conto dei costi di recupero, dell'incerto esito dello stesso, nonché il protrarsi della procedura, con mancata distribuzione di ingenti somme, se può essere maggiormente utile e compatibile l'abbandono di tale posizione anche in assenza di manifesta rinuncia da parte dei creditori.

    Ringrazio anticipatamente per l'interessamento
    • Lorenzo Ricciuti

      Chieti
      28/05/2024 09:58

      RE: Esecuzioni immobiliari - morosità conduttore

      al punto "1)" Tenendo conto che l'art. 560 c.5 c.p.c. statuisce che "Il custode giudiziario provvede altresì, previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione, alla amministrazione e alla gestione dell'immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità"
    • Zucchetti SG

      30/05/2024 16:00

      RE: Esecuzioni immobiliari - morosità conduttore

      Il tema è posto dalla domanda è di assoluto rilievo.
      Non constano sul punto precedenti giurisprudenziali di legittimità si registra, in sede di merito, la pronuncia di Trib. Larino, 13 gennaio 2024, che ha affrontato un caso del tutto identico a quello prospettato nella domanda, affermando, secondo noi condivisibilmente, che se la procedura è giunta al capolinea, il custode non deve attivarsi (a maggior ragione non può farlo autonomamente, senza prima ottenere l'autorizzazione del giudice).
      Secondo questa pronuncia, il tema della legittimazione attiva del custode ad agire per il recupero dei canoni di locazione rileva almeno sotto un duplice profilo: essa infatti da un lato è suscettibile di incidere sui tempi della procedura, che verrebbe a dipendere dalla durata dell'azione esecutiva intrapresa, visto che il compendio è stato venduto e consegnato agli acquirenti, per cui non resterebbe che procedere alla distribuzione di quanto ricavato dalla vendita (peraltro manca, nel codice di rito, una disposizione che, similmente a quanto prescrive l'art. 118 l.f., oggi art. 233 cci, contempla la possibilità della chiusura della procedura pur in presenza di liti pendenti); dall'altro, pone un problema di costi e di relativa anticipazione, nel senso che, ove si decidesse di agire, occorrerebbe caricare sulle parti (e segnatamente sui creditori che ne riceverebbero utilità) le spese dirette (i costi della procedura di recupero del credito) ed indirette (l'ulteriore compenso dovuto al custode, la cui presenza nella procedura de quo si giustifica ormai solo in funzione di questo recupero) a tal'uopo necessarie, ai sensi dell'art. 8, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
      Tanto premesso, il tribunale osserva che, in linea generale, i canoni di locazione fanno certamente parte del compendio pignorato a norma del combinato disposto degli artt. 820 comma terzo, e 2912 c.c., e contribuiscono a formare l'attivo suscettibile di riparto tra i creditori, a mente dell'art. 509 c.p.c.. Sulla scorta ciò, prosegue, occorre domandarsi se la procedura esecutiva, per il tramite del custode, debba agire esecutivamente per il recupero di questa porzione dell'oggetto del pignoramento quante volte il soggetto tenuto ometta sua sponte il pagamento.
      Posti i termini della questione, la pronuncia rileva che in generale sono predicabili due opzioni ricostruttive.
      La prima è quella di ritenere che debba attivarsi la procedura, onde assicurare integralmente ad essa i frutti della res pignorata.
      Ricorda, a questo proposito, che:
      Cass. 16 febbraio 1996, n. 1193 ha ritenuto che, dopo il pignoramento, il proprietario-locatore del bene pignorato, il quale non può più continuare a riscuotere il corrispettivo della locazione del bene stesso in virtù del disposto di cui agli artt. 2912 c.c., 65 e 560 c.p.c., è legittimato ad agire per conseguire il credito costituito dai canoni rimasti in tutto o in parte non pagati fino alla data del pignoramento. Infatti, a tali canoni - che, ancorché afferenti al bene, non costituiscono frutti del bene, bensì crediti del locatore pignorato - non può applicarsi il disposto dell'art. 2912 c.c. sull'estensione del pignoramento;
      successivamente, si è anche precisato che il proprietario-locatore di un immobile pignorato, che ne sia stato nominato custode, è legittimato a promuovere le azioni scaturenti dal contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile stesso solo nella sua qualità di custode e non in quella di proprietario locatore, essendo il bene a lui sottratto per tutelare le ragioni del terzo creditore; conseguentemente, se nell'atto introduttivo del giudizio il proprietario locatore non abbia speso la suddetta qualità, la domanda va dichiarata inammissibile (Cass., sez. III, 21 giugno 2011, n. 13587; Cass. sez. III, 3 giugno 2021, n. 23883);
      la giurisprudenza ha altresì affrontato e risolto, positivamente, il tema della legittimazione del custode ad agire per la riscossione dei canoni di locazione dovuti in forza di contratto di locazione stipulato dall'esecutato dopo il pignoramento, ma senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, in violazione dell'art. 560, comma secondo, c.p.c. In particolare, secondo Cass., sez. III, 29 aprile 2015 n. 8695, "gli artt. 65, comma secondo ("la conservazione e l'amministrazione dei beni pignorati ... sono affidati a un custode..."), 559 comma primo ("col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, comprese le pertinenze e i frutti, senza titolo a compenso"), 560, commi primo e secondo ("il debitore e il terzo nominato custode debbono rendere il conto" della gestione, risultando agli stessi "fatto divieto di dare in locazione l'immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice dell'esecuzione"),del codice di rito, nonché gli artt. 2912 ("il pignoramento comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata") e 820 c.c. (in ragione del quale sono compresi nel pignoramento anche i frutti civili, tra i quali rientra "il corrispettivo delle locazioni") inducono ad escludere che il titolare del bene pignorato possa, pur dopo il pignoramento, continuare a riscuotere, come tale, i canoni della locazione del bene pignorato, indipendentemente dalla circostanza che la locazione sia o meno opponibile alla procedura". Segnatamente, la sentenza afferma che il potere di amministrazione, conferito al custode dall'art 65 c.p.c., il divieto di dare in locazione l'immobile pignorato se non con l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione (art. 560 c.p.c.), nonché l'interesse del creditore procedente, che potrebbe essere seriamente compromesso dalla locazione del bene pignorato (donde la necessità che la locazione sia autorizzata dal giudice dell'esecuzione) sono tutti elementi che convergono nell'attribuire al solo custode la legittimazione sostanziale a richiedere tanto il pagamento dei canoni, quanto ogni altra azione che scaturisce dai poteri di amministrazione e gestione del bene (in termini analoghi, con riferimento alla legittimazione del custode all'esercizio delle azioni contrattuali derivanti da contratti di locazione non autorizzati cfr. la già citata Cass., 27 giugno 2016, n. 13216, nonché Cass., 27 settembre 2018, n. 23320).
      Ricostruito il panorama normativo e giurisprudenzale, la pronuncia afferma che questi elementi, pur condivisibili nella misura in cui affermano la legittimazione processuale del custode ad attivarsi per il recupero dei canoni di locazione, non paiono tuttavia decisivi per trarne il corollario secondo cui, a fronte dell'inerzia del soggetto passivo della obbligazione pecuniaria avente ad oggetto i canoni di locazione, la procedura esecutiva debba necessariamente agire esecutivamente in suo danno: infatti, se l'approvazione del piano di riparto (nel quale i canoni di locazione vanno ricompresi a norma dell'art. 509 c.p.c. sopra richiamato) determina la definitiva assegnazione delle somme in favore degli aventi diritto, sarà onere del creditore interessato attivarsi per ottenerne il materiale pagamento.
      Rileva a questo proposito che, nel momento in cui, con l'approvazione del piano di riparto, il giudice dell'esecuzione ha stabilito per quale importo ciascun creditore ha diritto di essere soddisfatto del suo credito concorrendo alla distribuzione del ricavato, la procedura esecutiva immobiliare (almeno secondo i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità, di cui tra un attimo si darà conto) si estingue, così come si estingue la procedura espropriativa per pignoramento presso terzi con l'ordinanza di assegnazione delle somme. In quella sede, infatti, è pacifico che sia l'ordinanza di assegnazione a definire il giudizio ed a costituire titolo esecutivo contro il terzo pignorato che ometta spontaneamente di adempiere (cfr, ex multis, Cass. n. 2745 del 08/02/2007; n. 9390 del 10/05/2016; n. 9173 del 12/04/2018; n. 41907 del 29/12/2021).
      Questa conclusione, ricorda, è stata oggetto di recente avvaloramento con specifico riferimento all'esecuzione immobiliare, a proposito della quale la Corte di Cassazione, rivedendo un proprio precedente consolidato orientamento (secondo il quale "A seguito del provvedimento del giudice dell'esecuzione, con il quale viene disposta l'assegnazione di una somma di denaro al creditore procedente, la proprietà di detta somma rimane al debitore fino a quando non avvenga in concreto il passaggio nella sfera patrimoniale del creditore. Pertanto, qualora il debitore venga dichiarato fallito prima che sia avvenuto il materiale pagamento della somma assegnata, rimane precluso al creditore pretenderne la consegna e soddisfare così il proprio credito al di fuori della procedura fallimentare, mentre un eventuale pagamento intervenuto successivamente alla declaratoria di fallimento sarebbe inefficace, ai sensi dell'art. 44 legge fall., nei confronti del fallimento. Così Cass., Sez. I, 17 dicembre 2004, n. 23572; Cass., Sez. III, 6 aprile 2005, n. 7093; analogamente, sez. I, 14 marzo 2011, n. 5994, sez. I, 28 dicembre 2012, n. 23993, quest'ultima richiamata da Cass., sez. I, 19 luglio 2018, n. 19176, tutte derivanti da Cass., 24 marzo 1955 n. 873, Cass., 21 febbraio 1966 n. 528 e Cass. 30 gennaio 1985 n. 586), ha ritenuto che "l'esecuzione forzata immobiliare si conclude con il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione, preso atto dell'approvazione del progetto di distribuzione ai sensi dell'articolo 598 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis), ovvero risolvendo le contestazioni avanzate dai creditori concorrenti e/o dal debitore esecutato a norma dell'articolo 512 c.p.c., dichiara l'esecutività del progetto, ordinando il pagamento delle singole quote in favore degli aventi diritto", e ciò sul presupposto di fondo per cui con l'approvazione del piano di riparto le somme in esso indicate passano in proprietà dei creditori, con la conseguenza che il pagamento da eseguirsi a cura del professionista delegato costituisce mera attività materiale, alla quale non possono essere subordinate le sorti della procedura (Cass., Sez. III, 20 novembre 2023, n. 32143).
      Ed allora conclude la pronuncia, posto che l'approvazione del piano di riparto chiude la procedura, ciò accade tanto nel caso in cui le somme siano nella disponibilità del professionista delegato, quanto in quello in cui siano detenute dal terzo obbligato al pagamento dei canoni oppure ancora si trovino nella disponibilità del creditore fondiario il quale per avventura abbia ricevuto, ex art. 41 TUB, un'attribuzione provvisoria di importo maggiore di quella definitivamente riconosciutagli in sede di distribuzione. In tutti questi casi, professionista delegato, terzo detentore dei frutti civili e creditore fondiario sono tenuti alla esecuzione di meri pagamenti, e se non provvedono gli altri aventi titolo potranno agire esecutivamente nei loro riguardi per ottenere gli importi loro riconosciuti nel piano di riparto approvato dal giudice dell'esecuzione immobiliare.
      Del resto, aggiunge, l'idea di gravare la procedura dell'onere di intraprendere l'azione esecutiva per il tramite del custode non sarebbe, per il creditore che in sede di riparto riceverebbe quei canoni, più vantaggiosa rispetto alla opzione di prevedere che sia lui stesso ad attivarsi autonomamente in un separato giudizio, sicché si risolverebbe in una dilatazione mera dei tempi della procedura esecutiva, distonica rispetto all'esigenza di contenimento dei tempi del processo entro i limiti della ragionevole durata, come richiesto dall'art. 111 Cost.
      Invero, se fosse la procedura a determinarsi ad agire, questa decisione dovrebbe certamente maturare (ex art. 485 c.p.c.) all'esito del contraddittorio tra le parti, contraddittorio nel quale la posizione del creditore, chiamato ad anticipare (come detto ex art. 8. D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115) gli esborsi del relativo giudizio, assumerebbe all'evidenza speciale pregnanza. Inoltre, ove si predicasse questa soluzione, il custode giudiziale permarrebbe necessariamente nell'esercizio delle sue funzioni, il che genererebbe ulteriori costi ove non risultassero ulteriori attività custodiali da svolgere (perché ad esempio tutti i lotti sono stati venduti e consegnati ai rispettivi acquirenti); ergo, in definitiva, il creditore sarebbe tenuto non solo ad anticipare i costi dell'azione giudiziaria (analogamente a quanto accadrebbe se agisse motu proprio), ma anche a sopportare l'ulteriore compenso che, nelle more, maturerebbe in favore del custode, compenso che egli si risparmierebbe ove intraprendesse per suo conto l'azione di recupero dei canoni nella misura in cui gli sono riconosciuti in sede di riparto.
      In definitiva, mettere in esecuzione il decreto ingiuntivo ottenuto dalla procedura sarebbe non solo inutile, poiché il creditore ben potrebbe agire autonomamente, ma addirittura dannosa, in quanto: l'azione autorizzata dal giudice dell'esecuzione avrebbe un costo complessivo superiore (in quanto comprensivo anche del compenso dovuto al custode) a quello da sostenere ove il creditore si convinca ad agire autonomamente; i tempi di definizione della procedura esecutiva si dilaterebbero, senza che a ciò si accompagnasse un effettivo differenziale vantaggio in punto di tutela giurisdizionale dei diritti.
      Su piano operativo, conclude il Tribunale di Larino, nel redigere il piano di riparto il professionista delegato dovrà avere cura di inserire in essi anche i canoni di locazione, nella misura indicata nel titolo esecutivo formatosi contro il conduttore. Quindi, eseguiti i pagamenti, ciascun creditore potrà agire esecutivamente contro il conduttore moroso mettendo in esecuzione il titolo esecutivo formatosi a favore della procedura esecutiva, limitatamente all'importo che gli è stato riconosciuto in sede di riparto, dedotta la somma di cui ha già ricevuto il pagamento.