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Società ex art. 115 TULPS e istanza di assegnazione del bene

  • Silvia Martellotta

    Mesagne (BR)
    16/01/2023 19:03

    Società ex art. 115 TULPS e istanza di assegnazione del bene

    Buonasera, ho un dubbio in merito al seguente punto:

    una società ex art. 115 TULPS che si è resa cessionaria di un credito ceduto da una banca, non svolgendo attività finanziaria ma solo di recupero crediti, può intervenire nell'eventuale procedura esecutiva in cui era costituita la cedente, ai sensi dell'art. 111 cpc ed eventualmente avanzare istanza di assegnazione del bene, anche in favore del terzo, o vi sono delle particolarità rispetto alla disciplina generale? ad esempio termini da rispettare dalla conclusione della cessione all'intervento nella procedura esecutiva?

    Ancora, nella pratica come avviene il deposito dell'istanza di assegnazione? se l'istante è già creditore deve ugualmente depositare una somma a titolo di cauzione o può procedere in compensazione?

    Grazie.
    • Zucchetti SG

      20/01/2023 11:47

      RE: Società ex art. 115 TULPS e istanza di assegnazione del bene

      L'art. 115 del TULPS prevede, al primo comma, che "Non possono aprirsi o condursi agenzie di prestiti su pegno o altre agenzie di affari … senza darne comunicazione al Questore".
      Sono invece soggette a licenza del questore "Le attività di recupero stragiudiziale dei crediti per conto di terzi".
      L'art. 48 d.lgs 1.9.1993, n. 385 (Testo unico bancario), prevede inoltre che "Le banche possono intraprendere l'esercizio del credito su pegno di cose mobili disciplinato dalla legge 10 maggio 1938, n. 745, e dal regio decreto 25 maggio 1939, n. 1279".
      Come si vede, l'attività bancaria e l'esercizio dell'attività di credito su pegno sono normativamente distinte, pur potendo coabitare nella medesima impresa.
      Essa, ancora oggi, è essenzialmente disciplinata dalla l. n. 745 del 1938 («Ordinamento dei monti di credito su pegno») e nel relativo regolamento di attuazione, contenuto nel r.d. n. 1279 del 1939 («Attuazione della l. 10-5-1938, n. 745, sull'ordinamento dei monti di credito su pegno»), per le parti non abrogate dall'art. 161 del citato TUB.
      L'art. 1 della legge n. 745/1938 descrive l'operazione di credito su pegno come prestito «di importo anche minimo, a miti condizioni, con garanzia di pegno su cose mobili per loro natura», che viene effettuata previa stima del valore della cosa da parte di un perito, cosa che deve garantire «l'integrale recupero dell'importo del prestito e dei relativi interessi ed accessori» (art. 12). In questa fattispecie negoziale, all'atto della effettuazione del prestito viene rilasciata, al prestatario, una polizza «al portatore», il quale, dietro esibizione della polizza stessa, potrà riscattare la cosa dietro pagamento della somma dovuta alla banca. Il riscatto potrà essere esercitato alla scadenza del prestito (di durata noni superiore ad un anno, salva la possibilità del rinnovo). Laddove il riscatto non venga esercitato la cosa oggetto di pegno viene venduta all'asta, secondo le regole specificamente stabilite dalla normativa speciale; il ricavato della vendita viene portato a pagamento del credito della banca per capitale, interessi ed accessori, mentre la (eventuale) somma che dovesse residuare resta a disposizione del portatore della polizza per cinque anni, «senza decorrenza di interessi», decorsi inutilmente i quali, viene «devoluta al monte in aumento del patrimonio».
      Come si vede dalla norma surrichiamata, la disciplina del pegno su crediti è connotata da una speciale peculiarità, sicchè può dirsi che esula dalla relativa disciplina l'acquisto di un credito vantato da altri (banca o soggetto privato che sia).
      Ciò premesso, riteniamo che il cessionario del credito (che per effetto della cessione diviene, per l'appunto, creditore egli stesso), potrà esercitare il diritto di assegnazione negli stessi termini in cui analogo esercizio era accordato al cedente.
      Invero, è noto che a norma dell'art. 588 "ogni creditore", nel termine di dieci giorni prima della data della vendita, può presentare istanza di assegnazione per il caso in cui la vendita non abbia luogo, versando un prezzo (così l'art. 589 c.p.c.) non inferiore alle spese di esecuzione più l'importo dei crediti aventi diritto di prelazione di grado superiore rispetto a quello dell'offerente. Fermo restanti questi limiti, il creditore può essere ammesso a versare una somma pari alla differenza tra il prezzo del bene ed il suo credito, considerato in linea capitale (per tale intendendosi, secondo l'opinione più accreditata, il credito indicato nell'atto di precetto, ma non può negarsi che anche gli importi successivamente maturati a titolo di interessi vadano calcolati).
      A seguito dell'istanza il giudice, se ne ricorrono le condizioni, demanda al professionista delegato la quantificazione delle spese e la valutazione della esistenza di eventuali crediti aventi diritto ad essere preferiti rispetto a quelli del creditore richiedente; in pratica, si tratterà di elaborare una ipotesi di piano di riparto, andando così ad individuare l'importo che dovrà essere versato. A seguito del versamento del conguaglio nel termine fissato dal Giudice, il delegato provvederà a redigere la bozza del decreto di trasferimento.
      La dottrina suole tradizionalmente distinguere due assegnazioni: l'assegnazione vendita e l'assegnazione satisfattiva. La prima si verificherebbe in presenza di una pluralità di creditori ed imporrebbe il versamento del saldo prezzo (del quale il creditore riotterrebbe la restituzione, in tutto o in parte, in occasione della distribuzione del ricavato, al netto delle spese di procedura). Con la seconda (alla quale potrebbe darsi corso in presenza del solo creditore assegnatario) si realizzerebbe una sorta di datio in solutum, che imporrebbe al creditore il solo versamento delle spese di procedura che non abbia ancora anticipato ex art. 8 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.